Da Leytonstone al tetto del mondo, dallo United di Ferguson a una popolarità che superò quella di Gesù, da stella in campo a icona Pop. Prima di Ronaldo e dei social, così David ha cambiato il ruolo e la percezione del calciatore
Dalla fascia laterale al red carpet, passare all’incasso. Nessuno più di David Beckham, nessuno meglio di David Beckham, nessuno – soprattutto – prima di David Beckham. Ha spostato lo star-system in area di rigore, offrendosi come icona-pop del villaggio globale, ha incarnato la più maestosa operazione di marketing applicata al calcio: diranno i posteri se è stato un merito, una colpa o più semplicemente un passaggio obbligato del tempo che ha scelto lui e proprio lui come testimonial di una nuova era. Come Adamo, David ha scoperto – e noi con lui – che il Paradiso terrestre non cominciava/finiva nel perimetro di gioco stabilito. È stato questo ragazzo nato cinquant’anni fa – 2 maggio 1975 – nel sobborgo londinese di Leytonstone, figlio di una parrucchiera e di un montatore di cucine, timido, educatissimo e aggraziato, con una vocina flebile, ossessionato dalla pulizia e dall’ordine fin da adolescente, a innescare l’evoluzione del calciatore postmoderno. Tutto in lui è stato sfarzo, senza sforzo. E’ stato la fiaccola olimpica di sé stesso, un predicatore di terre promesse con un piede, il destro, di fata e in mano un vangelo con il tariffario. E’ stato, allo stesso tempo, patinato e autentico, glamour e sincero. Non è mai appartenuto a nessuna ideologia, perché lui stesso è stato ideologia. Sognando Beckham, appunto. Una vita, un film.