L’ex difensore si unisce ai festeggiamenti per la promozione della squadra di Grosso. Legatissimo ai neroverdi, racconta emozionato la rinascita del club
A festeggiare il ritorno in Serie A del Sassuolo c’è anche un tifoso speciale. Da qualche anno non ha più la fascia da capitano al braccio, ma è rimasto legatissimo ai colori neroverdi: “Sono molto felice per la promozione, il merito è tutto della squadra e di mister Grosso. È stato fatto un capolavoro”. Paolo Cannavaro risponde emozionato subito dopo aver assistito all’impresa dei suoi ex compagni. Da giocatore ha totalizzato 120 presenze con la maglia del club emiliano. È arrivato nel gennaio 2014 quando serviva lottare per la salvezza e dopo due anni ha guidato il gruppo fino alla storica qualificazione in Europa League: “Il Sassuolo, per me, è una famiglia. Con quella maglia ho vissuto momenti indimenticabili. Dalla retrocessione evitata per pochissimo al 3-0 rifilato all’Athletic Bilbao al debutto europeo. In quel gruppo c’era anche Berardi, eroe pure in questa stagione”.
Lui ha scelto di restare, nonostante la Serie B. Appena tornato dall’infortunio è stato subito decisivo.
“Mimmo è il Sassuolo, non c’è altro modo per descrivere il legame tra lui e la squadra. Non sarebbe mai andato via, soprattutto quest’anno. Il suo è un atto d’amore verso i tifosi e di estrema gratitudine verso la famiglia Squinzi. Per tutto quello che ha dimostrato avrebbe potuto giocare in qualsiasi top club d’Europa”.
Invece si è legato per sempre ai colori neroverdi.
“È un attaccante incredibile con una innata cattiveria sottoporta. Pure in allenamento era difficile fermarlo. È sempre stato etichettato come una testa calda. Ma in partita capita a tutti di infiammarsi. Lui è un ragazzo d’oro che ama stare con la famiglia, trascorrere del tempo con gli amici. E in campo continua a fare la differenza”.
Gli assist di Berardi (il migliore in B) e i gol di Laurienté. L’attacco di Grosso ha funzionato alla grande.
“La dirigenza ha fatto un ottimo lavoro di programmazione in estate. Trattenere un talento come Laurienté in Serie B non era semplice. Tutti hanno lavorato nella stessa direzione. Affidare il gruppo a un allenatore esperto come Grosso, promuovere nel ruolo di ds un maestro con i giovani come Palmieri: le scelte giuste hanno fatto la differenza”.
Subito dopo la sconfitta contro il Cagliari, l’ad Carnevali lo aveva detto: “Torneremo presto in A”. Promessa mantenuta.
“Serviva una rivoluzione, c’è stata. Grosso è stato il primo allenatore contattato dalla società. Lui aveva già conquistato la promozione con il Frosinone nel 2023, era la persona giusta da avere in panchina. Ora l’obiettivo sarà rimanere in Serie A”.
Lei è arrivato al Sassuolo nel gennaio 2014 in un momento complicato. Con Di Francesco i risultati scarseggiavano e l’arrivo di Malesani non migliorò la situazione.
“Ricordo un tremendo 7-0 rimediato contro l’Inter a San Siro. Eravamo distrutti. Negli spogliatoi arrivò il patron Squinzi, ci disse: ‘Ragazzi, cosa sono quelle facce? Voglio una reazione. Questa squadra tra due anni andrà in Europa’. Ci siamo guardati sorpresi, non gli credevamo. E invece…”.
Alla fine di quella stagione riuscite pure a salvarvi con una giornata d’anticipo.
“È stata una delle tante imprese del Sassuolo. Quando fu richiamato Di Francesco si presentò con un articolo di giornale, era un’intervista a Sacchi in cui il mister spiegava che una squadra per conquistare la salvezza doveva proporre gioco e non difendersi. Senza avere paura di creare occasioni: attaccando con personalità e difendendo con ordine. Quel concetto ci ha svoltato la stagione”.
In neroverde ha spesso indossato anche la fascia da capitano.
“L’ho presa quando si è infortunato per la prima volta Magnanelli. Lui è stata una bandiera del Sassuolo. Al suo rientro in campo, dopo sei mesi di stop, andai subito da lui: dovevo restituirgli ciò che gli apparteneva. Era il minimo che potessi fare per un simbolo di questo club”.
Eravate un gran gruppo: da Zaza a Pavoletti, passando per Matri, Pellegrini, Acerbi.
“Tuttora ci sentiamo, abbiamo una chat su WhatsApp. E quando possiamo organizziamo delle rimpatriate. Come ai tempi del Sassuolo, quando Di Francesco ci invitava alla solita grigliata abruzzese di fine stagione”.
Qual è il ricordo più bello in neroverde?
“Il 3-0 contro l’Athletic Bilbao alla prima partita nei gironi di Europa League. Arrivare fino a lì, per il Sassuolo, è stato come vincere il campionato. Una città di 40mila abitanti, una squadra arrivata da pochissimo in Serie A che debutta in Europa e vince. È stato pazzesco”.
La sua avventura è terminata tra le lacrime il 30 dicembre 2017.
“Scelsi di chiudere in anticipo il contratto, volevo allenare. Parlai con la dirigenza e poi chiamai i compagni di squadra più esperti per comunicargli la decisione. Al Mapei, dopo la partita contro l’Inter, tutti mi sollevarono in area. Poi scoppiarono a piangere. Anche io. In volo allargai le braccia e pensai: ‘Ho dato tutto, sono contento’. Ma poi ne giocai un’altra…”.
“Nella gara successiva contro la Roma, Goldaniga aveva la febbre. Mi chiamò per dirmi che era felice di cedermi il posto. Ho baciato il campo dell’Olimpico e conservato le scarpette che indossavo. È l’unico ricordo della mia carriera che ho esposto in casa”
Oggi, da allenatore, le piacerebbe tornare al Sassuolo?
“Sarebbe un sogno. Da calciatore ho cambiato pochissime squadre, con la città e quei colori ho un legame fortissimo. Per il momento festeggio la promozione, poi chissà”.
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