Ravaglia: “Io, Bologna, la Champions e il sogno da bambino”

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Dopo anni di gavetta tra B e C Federico è diventato uno dei protagonisti della squadra di Italiano: “Cerco di farmi trovare sempre pronto, in tutti i miei prestiti ho sempre pensato a quando sarei tornato qui. Che brividi alla festa Champions, De Silvestri ci regalò un cappellino e…”

Gabriele Lussu

Federico non ha mai avuto dubbi. Ha sempre voluto fare il portiere. “Ho il ricordo vivissimo del primo allenamento, a 5 anni. Mi sono presentato con i guanti e i pantaloni imbottiti di spugna: quando gli istruttori hanno buttato un pallone in mezzo al campo gli altri bambini hanno iniziato a correre, ma io mi ero già messo in porta”. Vent’anni dopo, quella scelta è stata premiata nel migliore dei modi: esordio in Champions League con la squadra della sua città. “Un sogno diventato realtà” che Ravaglia e il Bologna sperano di ripetere. Dopo la vittoria per 5-0 contro la Lazio, infatti, a nove giornate dalla fine i rossoblù sono quarti in classifica, proprio come un anno fa.

Dove può arrivare questo gruppo? 

“Arrivati a questo punto si raccolgono i frutti del lavoro fatto durante tutto l’anno. Noi abbiamo la consapevolezza di aver lavorato tanto e bene, quindi siamo convinti di poter finire la stagione in modo positivo”. 

Se dovesse scegliere: quarto posto e ritorno in Champions o vittoria della Coppa Italia e accesso in Europa League? 

“Vincere la Coppa sarebbe qualcosa di storico, un traguardo importantissimo per questa società. Vorrebbe dire scrivere un’altra pagina indelebile da parte di un gran bel gruppo, quindi forse ad oggi dico la Coppa”. 

L’impresa dello scorso anno ha unito tutta la città. C’è un aneddoto particolare legato alla festa Champions? 

“Non mi dimenticherò mai di quella giornata. Vedere tutta quella gente riunita a festeggiare insieme a noi è stato qualcosa di incredibile, mi vengono i brividi ancora adesso. Prima di salire sul pullman, De Silvestri ha regalato a ognuno un cappellino personalizzato con le nostre iniziali e la scritta We Are One (lo slogan del club): un bel modo per unirci ancora di più dopo un traguardo del genere”. 

I brividi le saranno venuti anche all’esordio a Lisbona… 

“È difficile trovare le parole per spiegare un’emozione simile. È stata un’esperienza che porterò nel cuore per tutta la vita. Ho ripensato al percorso fatto, da dove sono partito… Essendo bolognese è stato ancora più speciale: ho sentito il calore e l’affetto che la gente mi ha dimostrato in tutti questi anni. In particolare quello degli amici che mi seguono dappertutto e della famiglia che mi è sempre stata vicina: se sono qui è grazie a tutto quello che hanno fatto per me”. 

Ha avuto modo di festeggiare? 

“Non ancora, ma lo farò sicuramente: nell’ultimo periodo abbiamo giocato ogni tre giorni quindi non ci sono state molte occasioni. Però ci sentiamo sempre, e con gli amici più stretti ci ritroviamo a casa dopo le partite mie e di mio fratello, che gioca in Promozione”. 

La seguono quasi sempre, anche in trasferta. 

“Si organizzano e prendono un furgone per andare insieme nel settore ospiti. L’aneddoto più divertente riguarda San Siro, quando ho parato il rigore a Lautaro. Per la gioia sono tutti “volati” giù dalle gradinate: uno si è ritrovato senza scarpe, uno con il sedere per terra e i piedi in aria. Mio fratello era incappucciato in un angolino che non riusciva a parlare dall’emozione. È stata una serata da incorniciare”. 

Con suo fratello (gemello) ha un rapporto speciale. 

“È sempre al mio fianco, mi segue ogni volta che può e io faccio lo stesso con lui. La cosa bella è che i suoi compagni di squadra sono diventati miei amici e viceversa: quando possiamo ci troviamo e passiamo del tempo tutti insieme. Prima delle partite ascoltiamo entrambi ‘Ci sono anch’io’ degli 883: è una canzone che ci unisce tanto, ha un significato speciale per noi”. 

Vi lega anche la passione per il basket.

“Siamo stati travolti dall’amore della città per questo sport. Siamo cresciuti guardando l’Nba, mi ricordo le prime Finals tra Miami e San Antonio: LeBron da una parte e Ginobili dall’altra. Tutte le estati, finita la stagione calcistica, andavamo al campetto di Castel Maggiore e passavamo intere giornate a giocare. Lui ha anche vinto un torneo che si fa ogni anno: mi prende sempre in giro perché io non ho mai vinto niente”. 

“Eh, chissà. Non diciamo niente…“. 

Tornando al campo, come vive l’alternanza con Skorupski? 

“Con la consapevolezza di dovermi far trovare pronto ogni volta che c’è bisogno. Il mister non ci dice mai la formazione prima, è un modo per tenerci tutti coinvolti. La nostra priorità è il Bologna, non i singoli: quando gioca Lukasz io sono il primo a dargli una mano. Ci tengo a citare anche Bagnolini (terzo portiere, ndr). Insieme ai preparatori abbiamo creato un bel gruppo, si lavora bene e c’è una bella sintonia”. 

Guardando al suo percorso, quanto sono state utili le varie esperienze in prestito tra B e C? 

“Tantissimo. Se tornassi indietro le rifarei tutte perché mi sono servite come portiere ma soprattutto come persona. Ero un ragazzo nato e cresciuto a Bologna che non era praticamente mai uscito di casa: andare a farmi le esperienze in categorie comunque difficili, con ambienti totalmente diversi, mi ha aiutato molto nello sviluppo”. 

Ha sempre creduto di poter diventare protagonista nel Bologna? 

“Sempre. Non so se definirla ossessione, ma ogni volta che andavo via il mio obiettivo era quello di tornare. Ho vissuto tutti i prestiti, con i relativi alti e bassi che ci sono stati, con l’intento di farmi trovare pronto per i rossoblù”. 

È portiere grazie a suo papà. 

“Mi ha avvicinato tantissimo al ruolo, trasmettendomi la passione che ci metteva quando giocava. Da piccolo, quando guardavo Holly e Benji insieme a mio fratello, ci divertivamo a fare uno il portiere e uno l’attaccante: ho sempre saputo in chi identificarmi”. 

Prima di passare al Bologna, a dodici anni, giocava nel Progresso insieme a Raspadori: che rapporto avete? 

“Ci sentiamo spesso, anche per motivi extra calcistici. Abitavamo a cinque minuti di distanza, siamo cresciuti insieme. Abbiamo un bel rapporto. Sono contento di quello che è riuscito a ottenere in questi anni: sono uno dei primi a fare il tifo per lui”.

Se non avesse fatto il calciatore, cosa avrebbe fatto? 

“Bella domanda, penso però che uno si debba trovare nella situazione per dirlo. Probabilmente avrei cercato di terminare gli studi a livello universitario per poi capire quello che avrei voluto fare nella vita. Nel dopo carriera mi piacerebbe restare a lavorare nel mondo del calcio, ma spero di avere altri 15 anni davanti quindi non ho ancora le idee chiare”. 

“No, ma ce n’era uno che volevo fare insieme a qualche mio compagno di squadra a maggio dell’anno scorso. Dico solo che per il momento abbiamo deciso di rimandarlo”.

L’esordio in Champions l’ha fatto. Adesso cosa sogna? 

“Come ho detto prima, andare fino in fondo in Coppa Italia sarebbe un sogno per tutti noi. Non voglio sbilanciarmi, ma spero che si possa realizzare”.



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