L'eterno Fascetti: «Varese e il mio Varese? Fantastici, meritano di più. Il calcio di oggi spesso mi annoia. Un ragazzo a 20 anni deve essere titolare in prima squadra. Marotta? Ha un dono…» – VareseNoi.it
August 31, 2023 | by allcalcio.it
Edizione locale IlNazionale.it
Franco Ossola stracolmo per il casino organizzato del Varese 1981/82, uno dei più belli di sempre, guidato da Eugenio Fascetti (alle sue spalle Beppe Marotta)
«Una città fantastica, tifosi meravigliosi, una società organizzata. La "benzina" nelle gambe faceva la differenza contro squadre più forti di noi, ma anche il talento di giocatori che erano anche bravissimi ragazzi. Cosa manca al calcio di oggi, che spesso mi annoia? Scopritori di talenti come Peo Maroso»: Eugenio Fascetti, "moderno", anticonformista e molto più avanti di tanti anche a 84 anni, non smette di professare il suo amore per Varese, per il Varese e per un calcio imprevedibile e "camaleontico".
Eugenio Fascetti centrocampista e poi allenatore nasce a Viareggio il 23 ottobre 1938: la sua carriera da calciatore inizia nel 1956 al Bologna, dove resta 4 anni prima di passare a Juventus, Messina, Lazio, Savona, Lecco e Viareggio. Nel 1970 inizia la sua carriera da allenatore guidando la Fulgorcavi Latina, che porta dalla prima divisione alla serie D. Arriva nel 1979 a Varese, dove siederà in panchina sino al 1983: riporta la squadra in serie B, dove ottiene un quarto posto nella stagione delle furie biancorosse (1981/82). Successivamente allena a Lecce, dove porta i salentini in serie A per la prima volta (1984/85). Nel 1989 passa alla Lazio per poi sedersi negli anni sulle panchine di Avellino, Torino, Verona, Lucchese, Bari, Vicenza, Fiorentina, Como. Terminata da carriera da allenatore, partecipa a trasmissioni sportive come opinionista, quasi sempre in coppia con l’ex calciatore Vincenzo D’Amico, scomparso il 1° luglio per un male incurabile.
Nel cuore di ogni tifoso biancorosso rimane questo mister che fece del Varese una piccola Olanda puntando su calcio fantasia e caos organizzato da cui nacquero le furie biancorosse e il "miracolo a Varese" fatto da alcuni varesini cresciuti nel vivaio e giocatori-gladiatori.
Ricordi di quel periodo?
Stupendi. Una città fantastica, tifosi meravigliosi, una società organizzata. La chiave del successo era la preparazione atletica che in quel periodo era tutta ancora da scoprire. Noi abbiamo subito avuto la fortuna di avere Enrico Arcelli ed il suo collaboratore Roberto Sassi (che poi mi ha seguito al Lecce): diedero un validissimo contributo al record dell’ora di ciclismo di Francesco Moser. Avevamo calciatori di valore come Turchetta, Mauti, Cerantola, Salvadè, Limido, Auteri, tanto per fare alcuni nomi, che erano tutti anche bravi ragazzi e seri professionisti. Ricordo le corse e le ripetute che Arcelli faceva fare ai ragazzi, era tutta benzina da mettere nelle gambe che poi faceva la differenza quando incontravamo squadre magari sulla carta più forti di noi.
Maroso, Sannino, Fascetti: tre mister che Varese non dimentica…
Mi piace essere ancora nel cuore dei tifosi: approfitto di questa chiacchierata per salutarli. Auguro a tutti loro che la squadra possa raggiungere nel più breve tempo possibile una categoria consona alla Città Giardino. Sannino non ho avuto la fortuna di incontrarlo, ma ho letto belle cose sul "sergente di ferro", Maroso è stato un grande mister, unico nello scoprire talenti: il calcio di oggi avrebbe tanto bisogno del Peo.
Lei conosce anche Stefano Bettinelli, che con i giovani ha una certa competenza…
Stefano è sempre stato un ragazzo serio che si impegnava molto. Era già molto maturo a quindici anni, quando l’ho conosciuto nel settore giovanile biancorosso. È un mister che non ha paura di dare spazio ai giovani e di scoprire le loro qualità. Oggi bisogna far crescere i settori giovanili, far giocare i ragazzi e portarli in prima squadra massimo a 20 anni. Dar loro fiducia e farli crescere, però, è sempre più difficile.
Un calciatore ideale per Fascetti?
Ne ho allenati tanti, tra cui Cassano, Zambrotta, Conte. Prendete un pezzo di tutti e tre e ne esce il mio calciatore italiano ideale che tanti ci invidierebbero.
Che ricordo ha di Beppe Marotta?
A Varese eravamo entrambi giovani. Lui era segretario a 20 anni, si occupava di tutto… Imparò tantissimo dall’allora presidente del Varese Colantuoni. Mi fa molto piacere che adesso sia con la mia squadra del cuore: parla poco, è una persona mai sopra le righe e ha il dono di circondarsi di validi collaboratori.
Come giudica il calcio attuale?
Oggi vedo le partite e spesso mi annoio: troppi passaggi dal portiere al terzino, palleggi inutili, non si salta l’uomo. Personalmente mi piace il gioco in verticale, non il tiki taka. La mia idea di calcio è sempre stata l’imprevedibilità: bisogna sapersi adattare all’avversario e cercare di sorprenderlo.
Lei ha coniato il termine "squadra camaleontica"…
Nella mia carriera da allenatore ho ottenuto cinque promozioni in serie A con squadre camaleontiche. Trasmettevo la giusta mentalità ai giocatori, puntavo sull’effetto sorpresa con mosse inattese. Adesso questo termine, camaleontico, è spesso abusato: dovrebbero pagarmi i diritti d’autore (Fascetti ride).
Lazio-Varese del 1982 torna sempre in ogni sua intervista: perché?
Lasciamo perdere: è una ferita ancora aperta. Ricordo ancora il giorno, era il 6 giugno, c’erano anche i mondiali in Spagna: ci presentiamo all’Olimpico contro la Lazio che è a rischio retrocessione in serie C. Dopo un quarto d’ora siamo avanti di due reti, poi andiamo in confusione e i biancocelesti pareggiano. Quindi arriva un rigore ancora oggi molto dubbio e cambia tutto. Se fossimo andati in serie A con quella squadra, avremmo sicuramente fatto parlare tanto di noi: avevamo calciatori forti davvero ma non voglio aggiungere altro perché fa troppo male.
Lei non ha mail allenato squadre da scudetto: come se lo spiega?
Nessuna spiegazione: è andata così e non mi lamento. Sono contento di quanto ho fatto e dalla vicinanza dei tifosi delle squadre che ho allenato. Non sono una persona che continua a crogiolarsi nei rimpianti o nelle recriminazioni: sono fiero di quello che ho fatto.
Parliamo di Mancini e di Nazionale?
È una tormentata vicenda con colpi di scena che sicuramente emergeranno anche nelle prossime settimane. Mancini ha forse intuito che la Federcalcio aveva idee di rinnovamento e ha dato le dimissioni, anche perché parte del suo staff non è stato riconfermato. Credo che tutto fosse in atto da qualche mese ma è uscito ora… Aggiungo solo che oggi fare il commissario tecnico non è per nulla facile.
Claudio Ferretti
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