Perdiamo un altro spareggio e questo ragazzo, chiamiamolo Pietro, forse vedrà gli azzurri al Mondiale nel 2030
C’è un ragazzo italiano davanti alla tv. Chiamiamolo Pietro. Ha 15 anni e, alla vigilia dell’ultimo giorno di scuola, si gode la sua Nazionale che comincia il cammino verso il prossimo Mondiale. Gli hanno spiegato che l’Italia al Mondiale è una favola meravigliosa. Papà e nonno gli hanno raccontato i tre gol di Pablito agli dei brasiliani, gli occhi di fuoco di Totò Schillaci e poi Buffon e Cannavaro, il Muro di Berlino… Ma Pietro non era ancora nato. Nel 2014 aveva solo 4 anni e quindi si è risparmiato il ricordo della disfatta brasiliana. Nel 2018 e nel 2022 avrebbe potuto ricordare, ma l’Italia non è arrivata in Russia e neppure in Qatar.
La memoria di Pietro è piena solo di traumatici spareggi, i due svedesi e, soprattutto, quello contro la Macedonia, tanto che da allora fatica a mangiare miscele di frutta… Ma stavolta il Mondiale Usa non me lo toglie nessuno, si promette Pietro, al fischio d’inizio. E invece la Norvegia ne fa tre in un tempo a un’Italia sgonfia come un sacco vuoto. Ma come si può giocare così, dopo due Mondiali sfumati, a un anno dall’umiliazione europea con la Svizzera? E la dignità? E il senso di responsabilità che mi chiedono a scuola tutti i giorni? È come se io mi presentassi alla maturità con le infradito. Che razza d’Italia è questa? Pietro fa un rapido calcolo: perdiamo un altro spareggio e forse vedrò l’Italia al Mondiale del 2030. Avrò 20 anni. Vent’anni passati senza mai vedere azzurro in una Coppa del mondo. Pietro cambia canale. Al posto della ripresa, vede Jannik Sinner: talento, cuore, volontà, sacrificio. Datemene undici così, per favore.