Quella del centravanti serbo è una storia particolare fatta di sacrifici ed etichette scomode: per tutti era il Falcao serbo
Ci sono notti che cambiano prospettive e, soprattutto, giudizi. Luka Jovic ha impiegato 49 minuti di un mercoledì sera piovoso per ribaltare la propria stagione e, in piccola parte, quella del Milan. L’uomo che, fino a un mese fa, guardava i compagni dalla panchina e soffriva di continui infortuni, per una volta si è regalato una serata da eroe con una doppietta nel derby che ha spedito il Milan in finale di Coppa Italia dopo sette anni. La sua è una storia particolare, fatta di sacrifici, etichette scomode e… minacce che avrebbero potuto costargli la carriera. Vi presentiamo il numero nove del Milan, raccontato attraverso alcuni aneddoti.
sacrifici
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Jovic è partito dal nulla. Nato in Serbia ma cresciuto in Bosnia da una famiglia molto povera, deve tutto a suo papà… Milan. Un nome, un destino. Jovic senior è stato calciatore professionista, ma di scarso successo. Meglio allora puntare tutto su Luka, che già a cinque anni metteva a segno triplette in ogni torneo giovanile. I due percorrevano ogni giorno 200 chilometri in auto per raggiungere Sarajevo, dove il piccolo Jovic si allenava con squadre locali. Una vita vissuta in costante viaggio, tra nottate passate a guardare le stelle dai sedili posteriori della macchina e sogni coltivati tra una trasferta e l’altra. Il Luka Jovic che ha steso l’Inter a San Siro nasce proprio lì: tra sacrifici silenziosi e speranze a fari spenti.
le minacce al padre
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A otto anni, Jovic viene notato da un osservatore della Stella Rossa, che lo tessera nel 2005. Anche il Partizan lo voleva, ma Luka disse no. Era quel ragazzo dal viso pulito, i capelli a caschetto, gli occhi vispi e il sorriso genuino di chi, da lì a poco, sarebbe arrivato in prima squadra a suon di gol nelle giovanili. Poi, il momento buio: poco prima del passaggio al Benfica, il padre riceve minacce da alcuni ricattatori che chiedono soldi. Il messaggio era agghiacciante: se non avesse pagato, Luka sarebbe stato gambizzato. Milan Jovic denunciò tutto, ma fu chiaro che per suo figlio il tempo in Serbia era finito. Luka partì per il Portogallo.
etichette scomode e record
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Jovic ha vissuto tutta la carriera sotto pressione. Le aspettative, a volte ingombranti, lo hanno accompagnato fin da giovanissimo. Specie nel suo periodo d’oro all’Eintracht che lo portò poi al Real Madrid con un macigno sulle spalle. In Spagna finì subito al centro di polemiche per una fuga in pieno Covid per festeggiare il compleanno della fidanzata a Belgrado. Alla Stella Rossa segnò 13 gol e 4 assist in due anni, per tutti era il “nuovo Falcao”. O, meglio, il “Falcao serbo”. Un’investitura pesante, confermata da un esordio da predestinato: il 28 maggio 2014, a 16 anni, 5 mesi e 5 giorni, diventa il più giovane marcatore nella storia della Stella Rossa, superando Dejan Stankovic. Quel gol al Vojvodina, che fissò il risultato sul 3-3, valse il titolo nazionale.
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la religione
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Luka ha sempre creduto. Nella vita, nella fede, e nella possibilità di rientrare in gioco. Ha aspettato in silenzio il suo momento, abituandosi a entrare negli ultimi venti minuti e provare a lasciare il segno. E quel momento è arrivato: una notte primaverile a San Siro, sotto la pioggia, che sembrava uscita da una delle grandi imprese europee del Milan. Sul petto, ha tatuato il volto di Gesù con gli occhi chiusi, simbolo di introspezione, di riflessione su emozioni e pensieri. Sensazioni che forse Jovic non aveva mai provato fino al 78′, quando è uscito tra gli applausi del pubblico rossonero.
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