Ambrosini per One of us, l’intervista alla Gazzetta

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Ambrosini, ambassadior di Under Armour nel progetto di One of Us: “Dovessi fare un video per le selezioni evidenzierei una qualità forte. Io tecnicamente ero un disastro, ma ero bravo a capire dove sarebbe finito il pallone…”

Francesco Albanesi

Massimo Ambrosini si rivolge alle nuove generazioni facendo leva sulla propria storia, fatta di sacrifici, perseveranza e dedizione. Partito da Cesena, è arrivato sul tetto d’Europa col Milan. Ambassador del brand Under Armour, Ambrosini incarna perfettamente i valori di Like a Pro, il progetto di One of Us pensato per chi parte dal basso con il sogno di diventare calciatore professionista. L’ex capitano rossonero parla di giovani, nuove tecnologie, e calcio attuale a 360 gradi: dal Milan all’Inter, passando per allenatori, progetti e corsa Champions. 

Massimo, quanto può aiutare oggi la tecnologia nella scoperta di nuovi talenti? 

“Viviamo nell’epoca di video, numeri e algoritmi. La tecnologia ti permette di scremare, ma continuo a pensare che l’occhio umano vinca sempre su qualunque tipo di macchina. A grandi livelli il calciatore va visto e conosciuto, come si allena, attitudini, carattere. Se fossi un dirigente, vorrei sapere come un potenziale acquisto vive il calcio, che tipo di famiglia ha intorno. Insomma, avere una visione a 360 gradi”. 

Dribbling, tiri, punizioni: se fosse un giovane sognatore, che tipo di video caricherebbe sull’app di One of Us per farsi notare? 

“Io ero molto bravo a intuire dove andava a finire il pallone. Anche se questo aspetto nei video era impossibile da riprendere (ride, ndr). Tecnicamente io ero un disastro, se mi fa palleggiare ancora oggi faccio delle brutte figure. Cercherei di mettere in risalto una qualità forte, quello sì”. 

Lei è partito da Cesena ed è arrivato a vincere due Champions League. La sua storia insegna che tutto è possibile: che consiglio darebbe a un giovane che si ispira alla sua carriera? 

“Il consiglio che darei è non aver paura di affrontare le proprie debolezze. Va avanti chi combatte, chi non si rassegna davanti ai propri limiti, che siano tecnici, fisici o mentali. L’obiettivo è arrivare a fine carriera senza avere rimpianti. Questo non vuol dire che, se applichi queste cose, allora arrivi in Serie A. Devi arrivare alla fine senza rammarichi”. 

A 18 anni fu acquistato dal Milan: oggi sembra più difficile per un giovane emergere. Ai suoi tempi c’era un’attenzione diversa verso i talenti? 

“Non so se sia più difficile emergere. Il mio era un calcio diverso, c’erano meno partite, quindi meno necessità di avere rose allargate. Il mio caso è stato molto strano: negli anni ’90 i giovani lanciati dalle grandi squadre non erano tantissimi. Ma se sei forte vai, la strada la trovi. Le società devono creare le condizioni per poter far sbagliare un ragazzo, senza mettergli troppa pressione addosso. Prendendomi come esempio, l’anno che ho fatto a Vicenza in prestito è stato determinante per rimanere più di quindici anni al Milan. I ragazzi di oggi, a differenza dei miei tempi, sono più insicuri, devono crearsi delle certezze. E il percorso non è uguale per tutti, ma passa sicuramente attraverso gli errori e il gioco”. 

Passiamo al calcio attuale. Iniziamo dal Milan: con Supercoppa e l’eventuale Coppa Italia, Conceiçao meriterebbe la conferma? 

“Non penso che lui abbia avuto la percezione che il suo destino fosse segnato già da un po’. In questo momento la direzione tecnica sta dando delle certezze che prima non c’erano. Ma per avere una valutazione oggettiva bisognerebbe vivere l’ambiente, capire come ha legato coi giocatori”. 

Il Milan farebbe bene ad andare oltre Theo e Leao? 

“Se i giocatori forti sono motivati, non li darei via. Rafa mi sembra che abbia dimostrato il suo valore, nonostante panchine e difficoltà. Almeno in termini di presenza e volontà, la faccia ce l’ha sempre messa. La stagione attuale dovrebbe aver insegnato a entrambi qualcosa sul piano caratteriale. Tutto dipende da cosa loro hanno in testa: se fossero motivati e decisi a rimanere, perché dovrei andare a cercare fuori qualcosa che ho già dentro? Le motivazioni muovono il calcio, soprattutto se sei all’interno di una società da cinque-sei anni”. 

Tare, D’Amico, Sartori, Paratici… La scelta del ds è ancora in stand-by: e se alla fine si decidesse di rimanere senza? 

“Non ho la minima idea di che strada prenderà il Milan. Non capisco tanto la direzione in cui la società voglia andare”. 

Passiamo all’Inter: se a fine anno non avrà aggiunto nulla alla bacheca, sarà fallimento? 

“Assolutamente no. Comunque vada, l’Inter ha fatto un percorso straordinario in Europa. Ha battuto l’Arsenal semifinalista nel girone, ha pareggiato col City e nelle prime nove partite ha preso un gol. Il rammarico, in caso di trionfo del Napoli, sarebbe il campionato, dove ha lasciato decisamente troppo per strada. È lì che l’Inter ha commesso tanti errori. In generale penso che il tifoso interista sia contento: vedere giocare la squadra così non capitava da parecchio tempo”. 

Da un Inzaghi all’altro: cosa ne pensa della promozione in Serie A del Pisa? 

“Pippo allenatore è la fotocopia di com’era da calciatore. È uno che si aggrappa a tutto, non lascia niente al caso. Cura i dettagli, sa capire cosa serve in quel preciso momento, e in Serie B si esalta. Ma questo non significa che non possa farlo anche in Serie A. Sarebbe interessante capire da lui se si sente più “confident” in cadetteria o se si considera pronto per affrontare ancora il massimo campionato. A questo punto, sarebbe utile coinvolgere anche il presidente del Pisa”. 

Il quarto posto è una bagarre: chi la spunterà alla fine? 

“Lazio-Juve determinerà tanto. La Roma ha un brutto calendario, ma onore e merito a Ranieri per ciò che sta facendo. Onestamente non pensavo potesse fare questo percorso, così come la squadra in sé. I giallorossi sono la vera sorpresa”. 

Chi sarà il successore di Ranieri? 

“Roma storicamente ha bisogno di un allenatore in grado di gestire un po’ tutto. Pioli potrebbe essere un nome valido. In generale serve qualcuno in grado di farsi carico di tante cose”. 

La qualificazione in Champions basterà a Tudor per mantenere la panchina? 

“A me la squadra sembra convinta di quello che fa, ha sposato le idee di Igor. A me piace lui come persona, anche per come si rapporta con la realtà. Se dovesse arrivare in Champions e fare un buon Mondiale per Club, secondo me la Juve farebbe qualche pensiero in più nel decidere se tenerlo o no”. 

Crede ancora nel matrimonio tra Gasperini e l’Atalanta a fine stagione? 

“Secondo me vanno ancora avanti insieme. Bisogna vedere anche lì che idee hanno. È stupido continuare a chiedergli di fare qualcosa in più. Salvo cataclismi finali, sarebbe il quinto anno che va in Champions”. 

Per il Napoli sarebbe veramente un “prodigio” lo scudetto? 

“Il Napoli non è mai stato scarso. Se sarà scudetto, avrà fatto una cosa enorme perché comunque l’anno scorso sono arrivati decimi. Antonio ha ottimizzato tutto quello che c’era da ottimizzare. Gli uomini ce li ha sempre avuti, dovendo pensare a una sola competizione. Massimo rispetto e onore per una persona che in termini di ambizioni e limiti non è seconda a nessuno”. 

A Bologna è il mese dei verdetti: se Italiano non conquista la Champions né la Coppa Italia, farebbe peggio di Motta? 

“Assolutamente no. Il Bologna di oggi è una squadra più evoluta, europea. Il merito di Vincenzo è evidente. È una squadra riconoscibile che gioca senza paura contro tutti. A prescindere da posto in Champions e Coppa Italia, per me Italiano avrà fatto un grande lavoro. Non era scontato ripartire dopo le cessioni in estate”.



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