Maledetti, Guarin e l’inferno dell’alcol

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Non era un fuoriclasse, ma prometteva bene: Porto, Inter… Finché non decise di affrontare i suoi demoni con l’alcol e buttò tutto all’aria. Fino all’inferno delle favelas

Non aveva coscienza di sè, e di conseguenza delle sue responsabilità. Così ha finito per affidare il suo destino a ciò che gli faceva dimenticare la sua condizione di maledetto: l’alcol. Che cosa c’è di meglio di una bottiglia di birra, anzi due, tre, dieci, venti… per cancellare le ombre e credere di essere sempre nel cono della luce? Che cosa c’è di più curativo dello stordimento? Ti ubriachi, non sai più dove sei, la mente se ne va per i fatti suoi e, alla fine, a parte il terribile mal di testa che ti affligge, non ricordi più nulla. Fredy Guarin ha scelto questo metodo, che è una specie di suicidio, per amore dell’esagerazione, o forse per inconsapevolezza, o ancora come sfida estrema. Non si sa, e probabilmente non si saprà mai, nemmeno dopo aver consultato centinaia di psichiatri. Resta la realtà: quella di un calciatore di buon livello, non un fuoriclasse ma uno che il pallone lo trattava bene, che si è lasciato inghiottire dai demoni. 

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