Il calciatore oggi è in Qatar: “Quella sera Neymar portò Leo, gli parlammo solo di Parigi: il giorno dopo decise di venire. Perché sono andato via? Vincere era diventato ripetitivo”
Marco Verratti è l’estratto di una favola. Ora è all’Al-Duhail, Doha, Qatar, “una felice scelta di vita con la quale ho ritrovato cose e stimoli più… di un tempo”. Per completare quella favola manca una trasformazione: diventare, un giorno, un principe biancazzurro. “Sì — ammette lui —: il desiderio è quello di fare anche solo un minuto in A col Pescara”. Che è quello che non ha mai fatto con la sua squadra del cuore, ovvero il club del quale è co-presidente con Daniele Sebastiani. Con Marco è un viaggio da tappeto volante. Si parte da Doha.
Marco, spieghi perché e com’è il Qatar.
“Diciamo che avevo bisogno di una nuova sfida, nuovi stimoli. Doha la conoscevo già e mi è sempre piaciuta: quando si è aperta la possibilità, beh, ecco la scelta di vita. E ne sono felice. Com’è il campionato? Competitivo. L’anno scorso, io ero in un’altra squadra, l’Al Duhail è arrivato secondo dopo essere stato a lungo in testa: l’obiettivo è quello di vincere la Doha Bank Stars League. Sa una differenza con l’Europa? Che qui se un giocatore sta in panchina non è scontroso e incazzato: qui si sorride lo stesso, la voglia di stare insieme e di giocare va oltre tutto. A Parigi la vittoria era diventata una cosa ormai scontata: qui ho rivisto qualcosa di “infantile”, la gioia di vincere, come quando si era bambini. La felicità. A Parigi ormai vincere era monotono, ripetitivo”.
Torniamo al sogno: anche solo un minuto in Serie A col Pescara, quello che non ha mai fatto…
“È un sogno, sì. Dobbiamo sempre darci l’idea di un obiettivo: magari lo realizzerò ora che sono co-presidente al 50%. Ecco, solo per il mio Pescara avrei fatto quel che ho effettivamente voluto fare: mi hanno dato tutto, volevo sdebitarmi col cuore”.
Zeman e la promozione in A.
“Persona fantastica, quell’anno nessuno ci dava due lire. Eravamo giovani, sconosciuti, forti. Non esiste un allenatore migliore di lui per un giovane: mi trovò “la” posizione, un po’ l’avevo ricoperta con Di Francesco ma in maniera definitiva ci pensò Zeman”.
Due suoi ex compagni di Euro 2020 sono tornati: Immobile e Bernardeschi, a Bologna.
“Ciro farà tanti gol, giocatore super, generoso. Andrà in doppia cifra. Bernardeschi è anche un bravissimo ragazzo”.
Si ricorda quando scelse il Psg?
“Fu difficile per il fatto che mi ero conquistato quella cosa pazzesca nella mia città e dovevo lasciare appeso il sogno di giocare con la mia maglia del cuore in Serie A. Un giorno, prima di andare, presi da parte Sebastiani: “Io vado ma se tra sei mesi mi trovo male e non sono felice torno”. Arrivare in A col Pescara e non giocarci era dura per il Verratti ragazzino”.
Il Psg, un mare di stelle: aneddoti?
“Ricordo una serata fantastica che divenne quasi magica. Siamo a Ibiza, Neymar viene da me e mi dice che stasera saremo a cena anche con Leo Messi. Così finiamo al tavolo io, Leo, Paredes, Ney e Di Maria. Parliamo e stiamo bene. E gli facciamo, si fa per dire, una testa così affinché venga a Parigi. Alla sera tardi ci salutiamo e il giorno dopo leggiamo che ci sono problemi fra lui e il Barcellona. Poi, nel primo pomeriggio Neymar mi chiama: “Marco, Leo viene da noi”. Incredibile: da averlo a cena ad averlo compagno di squadra. Serata magica. Neymar? Un ragazzo d’oro, generoso, umile, che dà il mondo alle persone alle quali vuole bene, ci sentiamo ancora. Come con Mbappé: ha fame, è competitivo e sono convinto che prima o poi vincerà il Pallone d’Oro”.
Un giocatore meno ”star” ma super?
“Thiago Motta. Dicevano che faceva cose banali ma vedeva le cose prima di tutti. E con semplicità”.
Il Psg oggi vince senza stelle.
“Non è così, le stelle ci sono, le ha. Ha creato un grandissimo gruppo, pensano molto al collettivo, Luis Enrique è stato bravissimo. Vinceranno per anni e anni ancora. Ah, una cosa: scrissero che me ne andai dal Psg perché lo volle Luis Enrique. Falso: vi assicuro che risale a molto prima la mia chiacchierata con Nasser (El Khelaifi, ndr) in cui gli dissi che me ne sarei andato perché avevo voglia di nuovi stimoli. Siamo rimasti in grandi rapporti io e lui, persona super”.
La nuova Serie A vista da fuori?
“Mi intriga molto Gasperini con la Roma. Gasp ha edificato una cosa grandiosa con l’Atalanta. Allegri? Spero faccia bene col Milan che qui è seguitissimo. Come allenatore ho un debole per Sarri: ha il suo stile e certi principi mi ricordano Zeman. L’idea di comandare il gioco e soprattutto un merito: quello di far crescere i giocatori, la cosa più preziosa che un tecnico possa dare. Il Napoli ancora da scudetto? L’anno scorso ha fatto davvero un miracolo: solo uno come Conte poteva riuscirci. Per me, comunque, l’Inter resta favorita, per i giocatori che ha, e se prende Lookman è ancora la più forte”.
Quante volte ha “rischiato” di tornare in Italia?
“Richieste ne ho avute, praticamente ogni anno. La verità è che non sono voluto tornare, sono un ragazzo che sempre si affeziona ai luoghi in cui è”.
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“Il presidente. Nella mia carriera ho visto un po’ di tutto, con Sebastiani credo si formi una coppia complementare: so, avendolo vissuto da dentro in ogni categoria, di cosa ha bisogno un calciatore. Sebastiani è stato forte e incredibile: ha resistito anche a momenti difficili. Ed è lì: per quello sono voluto entrare al 50% con lui nel Pescara, oltre che perché è la squadra che amo. Come gestirla? Io voglio che i nostri calciatori pensino solo a giocare. Perché per il resto c’è tutto. Poi, se andrà, come vorremmo, in A, magari coronerò quel sogno…”.
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