Umberto Agnelli lo volle per tornare a far vincere la Juve, poi finì la carriera a Napoli che con lui fece tre campionati di vertice
Con i soldi che la Juventus aveva speso per il suo acquisto, quelli del River Plate ultimarono i lavori per lo stadio “Monumental”. Da una sponda all’altra dell’oceano centottanta milioni di Lire che a Buenos Aires portarono mattoni e cemento, a Torino un equilibrista ventunenne che al posto del filo adoperava il pallone per avere il vuoto attorno a sé, mentre l’ultimo dribbling diventava sempre il penultimo. È l’estate del 1957, Umberto Agnelli per Madama esige il meglio, in termini tecnici, da mettere al servizio di un rilancio delle ambizioni, dopo cinque anni di digiuno e scudetti mancati. Sivori, in termini freudiani, deve rappresentare l’Es, l’istinto al quale lasciare le briglie sciolte, da far interagire con l’Io del poderoso John Charles, gallese con il fisico da granatiere che fa brillare i bastioni avversari sotto i colpi di mortaio della sua prepotenza muscolare; a governare il tutto il Super – io incarnato da Giampiero Boniperti, che agisce da centravanti ma sa muoversi anche da mezzala e soprattutto pensa già da dirigente. Lui e Sivori convivono ma senza riuscire mai ad andare davvero d’accordo: hanno visioni diametralmente opposte su come andare in porta, rapportarsi agli avversari, porsi nei confronti di un pubblico ostile, interloquire con un arbitro; sulla vita in generale, probabilmente.