Luca Marchegiani, che giudizio dà della stagione del Torino?
“È stata un’annata da 6. Per come si è sviluppato il campionato, chi arriverà davanti al Torino ha dimostrato di avere qualcosa in più: il Bologna ha fatto una stagione straordinaria e merita di stare dove sta, le altre già partivano davanti al Toro se pensi che le residue speranze di qualificarsi se le gioca con Napoli e Fiorentina”.
Cosa manca per arrivare al livello di Atalanta, Fiorentina e Bologna?
“Difficile dirlo: nella programmazione di una squadra le risorse sono il primo aspetto che uno va a vedere, poi, a parità di risorse, c’è anche un percorso dato da quanto si è capaci a integrare anno dopo anno uno zoccolo duro che funziona. Questo l’Atalanta lo ha fatto molto bene, ma è partita molto prima rispetto al Toro. La Fiorentina, invece, è arrivata a quei risultati investendo di più”.
“Questi sono i due termini di paragone che si devono prendere per posizionare il Torino nelle gerarchie della Serie A. Il Toro, in tal senso, sta provando a costruire integrando via via nuovi giocatori, però non è semplice perché devi avere la fortuna, oltre alla capacità, di saper scegliere i giocatori giusti e non avere infortuni come quello di Schuurs che è pesato moltissimo, perché quelli sono i giocatori su cui devi basarti, vale a dire giovani, di talento, che magari non puoi tenerti per tutta la carriera, però negli anni in cui ce li hai ti aiutano a far crescere anche gli altri”.
“Il calcio italiano, per le pressioni e le tensioni che si porta dietro, rende difficile per un allenatore fare un percorso troppo lungo con una squadra, a meno che non ci siano condizioni molto particolari. E i tre anni di Juric sono una parabola normale per far sì che un ciclo si esaurisca“.
“Guardando la stagione, c’è stato un momento in cui, con il cambio tattico e i due attaccanti, sembrava che la squadra avesse imboccato una crescita ulteriore, mentre nell’ultima parte della stagione si è un po’ normalizzato tutto. Il Torino con Juric è stato sempre al limite di quel passettino che non è riuscito a fare, però quell’ultimo step è difficile farlo e non può essere considerato un fallimento non esserci riusciti”.
“A me piacerebbe Italiano perché lo vedo adatto a quello che è lo spirito del Toro e al modo di manifestare il proprio senso di appartenenza. Detto questo, Vanoli è sicuramente una scelta che potrebbe essere giusta. Tra l’altro ha il vantaggio di aver fatto gavetta con grandissimi allenatori e questo sicuramente gli ha dato gli strumenti per gestire pressioni che un club come il Toro sicuramente dà”.
Lei è stato protagonista dell’ultimo trofeo vinto dal Torino: la Coppa Italia 1993. Che effetto fa pensare che da allora siano passati oltre trent’anni?
Ride… “Sono tanti anni… È anche vero che in Italia è difficile vincere per un outsider ed è altrettanto vero che il Torino in questi trent’anni ha avuto periodi in cui non c’è stata una vera stabilità societaria. Forse nella gestione Cairo è lecito aspettarsi prima o poi un colpo come una campagna europea fatta bene, magari in Conference League che è una competizione non impossibile. Perché vanno un po’ riaccesi i sogni, oltre che la passione della gente. Perché di questo c’è bisogno nel Toro”.
“Noi ci allenavamo in un campo senza palestra, con le tribune che in certi punti cadevano a pezzi. Entrare lì, oggi come allora, ti dà un senso di appartenenza straordinario e la responsabilità di cercare, in qualche maniera, di onorare tali predecessori, essendo impossibile essere all’altezza di quella squadra irripetibile. Per chi non è stato al Toro può sembrare un concetto astratto, ma per chi ha vissuto e vive quel contesto non c’è neanche il bisogno di spiegarlo”.
Cosa ha pensato di quel video con in sottofondo due giocatori che irridevano i tifosi a Superga?
“Non ho seguito la vicenda, ma penso che si tratti di cose… ovviamente sbagliate… dette senza manco pensarci troppo. Al netto dell’accaduto, penso che il rapporto tra giocatori e tifosi del Toro sia molto forte a prescindere, poi ci possono essere contestazioni – e le ho subite anche io – ma bisognerebbe avere l’attenzione nel non far diventare pubbliche frasi dette un po’ così in modo superficiale, per non dire peggio”.
Ultima domanda su Milinnkovic-Savic, esaltato ma pure contestato: bisogna rassegnarsi a questi suoi alti e bassi?
“Lui è cresciuto molto negli anni e questa è stata una stagione molto buona, come dimostrano le tante partite senza subire gol nonché la personalità mostrata all’interno di un gruppo dove ha fatto vedere che la squadra si può fidare di lui. Secondo me è un portiere di ottimo livello, non solo buono, per il Torino. E Cairo se lo deve tenere stretto. Vero è che a volte prende gol evitabili, però Milinnkovic-Savic è un portiere dal rendimento alto”.
“Poi in Italia siamo bravi a ricordarci sempre gli errori, ma contano anche le parate decisive, l’intervento giusto al momento giusto, la fluidità con cui fa ripartire l’azione quando calcia la palla… Noi dobbiamo cominciare a saper valutare i portieri in un modo più attuale. In ruolo è cambiato tantissimo e non può più essere un termine di paragone Zoff: vanno comprese altre caratteristiche e qualità che può portare un portiere, perdonando errori sulla tecnica di parata che oggi è uno degli aspetti nel giudizio, non l’unico come quando giocavo io. Adesso devi saper fare anche altre cose e qualche imprecisione tecnica è da accettare all’interno di una serie di compiti molto più ampi che un portiere ha rispetto a un tempo”.
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