L’ex centrocampista, rimasto in coma dopo una testata ricevuta in un locale, racconta al Corriere: “Non meritavo di stare al Milan tra quei campioni. Se avessi segnato il gol nella finale Uefa sarei nella storia”
Rimpianti, ricordi e molta amarezza per un mondo che, a suo dire, si è dimenticato di lui. Sono le riflessioni di Gianluca Sordo, affidate al Corriere della Sera in un’intervista. Ex centrocampista fra Torino, Milan, Reggiana e Bari in serie A (oltre 140 presenze), oro Europeo nell’Under 21 e a Barcellona 1992 con la selezione olimpica, Sordo ha smesso nel 2004. Nel 2005 un’aggressione in un locale gli costò un’operazione alla testa che gli ha lasciato danni fisici: “Il calcio? Mi ha dimenticato, nessuno si è degnato di chiedersi se fossi ancora vivo o no, solo gli ex compagni di squadra” dice l’ex calciatore che parla nell’intervista della sua parentesi al Milan dove arrivò dopo stagioni molto buone al Torino senza riuscire a trovare spazio: “Maldini, Savicevic, Boban, Baggio, non meritavo di stare in mezzo a quei campioni – ammette -. Avevo ancora un anno di contratto col Torino, dove avevo vinto la Coppa Italia. Potevo usare l’interesse dei rossoneri come leva per un rinnovo e diventare una bandiera. Ma il mio procuratore, Oscar Damiani, badò più alla sua parcella che al mio interesse. Avevo 24 anni, ti chiama un club così, come facevo a dire di no? Doveva essere lui a farmi ragionare”. Parole dure per il suo ex procuratore di cui dice “Dopo 10 anni di procura mi ha scaricato sulle rotaie del tram, a Milano, come un barile. Ormai ero diventato un pesce troppo piccolo per lui. Rispetto e valori mancavano anche nel calcio di allora”. Dopo il Milan ancora due stagioni in A con reggiana e Bari: “Alla Reggiana con Lucescu mi lesionai cinque volte. A Bari venivo visto come l’uomo di Fascetti, che litigò coi tifosi. A 28 anni non mi voleva nessun club di A e ci sta. Ma perché neanche uno di B? Qualcuno ha voluto tagliarmi le gambe. In molti se la sono legata al dito”.
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L’altra accusa è ad Allegri che ha incrociato ai suoi inizi di allenatore quando lui finiva la carriera in C: “All’Aglianese, era alla sua prima esperienza mentre io ero il giocatore più anziano. Gli davo una mano, in campo si era creato un bel rapporto, era tutto un “Gianlu, Gianlu, Gianlu”. Poi in un mese di terapia intensiva non si è mai fatto vedere o sentire. Tutti sapevano quello che mi era accaduto, ne avevano parlato tv, radio e giornali. Non ero andato in Groenlandia, stavo lì a pochi minuti d’auto da lui, una persona con cui avevo condiviso le giornate fino a qualche mese prima. Mai un lunedì dopo le partite che sia venuto a salutarmi”. Il rimpianto più grande? “La traversa a un minuto dalla fine nella finale di Coppa Uefa contro l’Ajax. Colpo di testa di Mussi, mezza rovesciata, la prendo di collo pieno, passa sotto la gamba di De Boer, poi il legno, il terzo della nostra partita. Avrebbe cambiato la storia del Torino e anche la mia. I tifosi mi avrebbero fatto una statua di marmo”