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Sono loro che devono vergognarsi

October 24, 2024 | by allcalcio.it

Sono loro che devono vergognarsi


Gisèle Pelicot è francese, abita a Mazan, nel sud della Francia, dove si era trasferita insieme al marito Dominique Pelicot una volta che entrambi erano andati in pensione. Si erano conosciuti nel 1971, Gisèle e Dominique, e nemmeno due anni più tardi avevano deciso di sposarsi. In poco arrivano anche i i figli, due maschi e una femmina, ma pure i guai finanziari: Pelicot ama vivere oltre le proprie possibilità, cosa che lo porta ad indebitarsi pesantemente, fino a dover dichiarare il fallimento della propria società che operava nel settore elettrico. La coppia divorzia per proteggere i beni dai creditori, ma si risposa nel 2007. Perché, come racconta oggi Gisèle Pelicot dall’aula di un tribunale dove si sta tenendo uno dei processi per stupro di massa più seguiti di sempre, lei in questi cinquant’anni di vita insieme s’è sentita soprattutto “fortunata” ad aver accanto “il marito perfetto”. Degno della massima fiducia, meritevole di amore.

Certo, come tutte le coppie anche i Pelicot hanno avuto i loro problemi: lei ha confessato d’aver avuto una relazione, ma anche lui non le era sempre stato fedele, però entrambi avevano scelto di continuare a stare insieme e, ricorda oggi con sgomento Gisèle, a volersi bene. Fino a che nel 2020 Dominique viene fermato dalla polizia per aver filmato con una piccola telecamera sotto la gonna di alcune donne al supermercato locale. Gli sequestrano telefono, computer e vari hard disk e lì le forze dell’ordine trovano migliaia di scambi avvenuti su un sito per chat gratuite, Coco.fr, e su una specifica chat room chiamata “A son insu”, “A sua insaputa”. In questa chat gli uomini parlavano di quelli che loro stessi avevano definito dei rapporti sessuali, ma che in realtà erano degli stupri: rapporti sessuali avvenuti con le loro partner a loro insaputa. Nel 2024, dopo un’indagine durata 18 mesi che si era estesa in tutta Europa, il sito è stato chiuso e il suo proprietario arrestato.

gisele pelicot, victim in rape case that shocked france, attends trialpinterest

Arnold Jerocki//Getty Images

Attraverso la lettura di questa chat la polizia aveva scoperto che dal luglio del 2011 e fino all’inizio delle indagini, dunque per circa dieci anni, Dominique Pelicot aveva somministrato regolarmente alla moglie, all’ora di cena e sbriciolandogliele nel cibo, diverse compresse di Temesta, il farmaco che in Italia è venduto come Tavor, una benzodiazepina utilizzata per trattare l’ansia e l’insonnia. Poi aveva fatto entrare in casa gli uomini della chat con cui aveva preso accordi in precedenza consentendo loro di stuprare la moglie priva di sensi. Lui filmava tutto. Su una chiavetta USB gli investigatori hanno trovato una cartella chiamata “ABUS”, “abuso”. Conteneva centinaia di video catalogati per data, nome dello stupratore per come compariva nella chat e numero di stupro. I file presenti in questa cartella erano 128 e gli stupri che da lì risultano essere stati commessi sulla donna sono 92. L’elenco conteneva i nomi di 83 stupratori. La polizia, durante i due anni di successive indagini, ne ha identificati 51, poi arrestati. Pur potendo chiedere di mantenere l’anonimato e avere un processo a porte chiuse, come permette la legge francese nei casi di violenza sessuale, Gisèle Pelicot ha deciso di averne uno pubblico affinché la sua storia e le sue parole arrivassero a quante più persone possibili. “Ho voluto rendere questo un caso mediatico perché voglio che la società cambi”, ha detto.

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ROMAIN COSTASECA//Getty Images

C’è qualcosa che sta particolarmente a cuore a Gisèle Pelicot, che non vuole essere raccontata come un’eroina, e che dice con convinzione come questa non sia una storia di coraggio ma di “volontà e determinazione a cambiare la società”, ed è il tema della vergogna. Se, come dicono in tanti, questo è un processo per stupro di massa che sta cambiando il modo in cui si parla di violenza sessuale, è proprio per la lucidità con la quale quella che si definisce “una donna distrutta”, nel suo essere distrutta rifiuta nettamente di provare vergogna. “Spesso quando si è vittime di violenza si prova vergogna, ma non siamo noi a dovere vergognarci, sono loro”. Gisèle Pelicot ha raccontato di non essersi mai accorta dei tentativi dell’ex marito di renderla incosciente, e che molto probabilmente i farmaci con cui veniva sedata venivano nascosti nei pasti che il marito le preparava. “Spesso, quando c’era una partita di calcio in televisione, lo lasciavo a guardarla da solo. Poi mi portava il gelato a letto: il mio gusto preferito, lampone. E io pensavo: quanto sono fortunata”.

Pelicot ha aggiunto che nel periodo in cui veniva sedata dal marito aveva frequenti vuoti di memoria ed era molto spossata, e che per questo motivo aveva sospettato di avere l’Alzheimer. Il marito assecondava questa sensazione, e l’aveva accompagnata a diverse visite neurologiche. Riferendosi alle testimonianze di mogli, madri e sorelle degli imputati che, nelle scorse settimane, li avevano descritti come “uomini eccezionali”, Pelicot ha detto: “È proprio come la persona che avevo dentro casa. Perché uno stupratore non è soltanto qualcuno che incontri in un parcheggio buio a tarda notte. Lo puoi trovare anche in famiglia, tra gli amici”. Pelicot ha poi aggiunto: “Voglio che tutte le donne vittime di stupro – non solo quando sono state drogate, lo stupro esiste a tutti i livelli – dicano: la signora Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi”.

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GEOFFROY VAN DER HASSELT//Getty Images

Nella deposizione Pelicot ha citato esplicitamente la cosiddetta “cultura dello stupro”, un’espressione utilizzata dagli studi di genere e dai femminismi per descrivere una “cultura” nella quale la violenza e gli abusi di genere sono molto diffusi, minimizzati e normalizzati. E gli 83 stupratori di Mazan, di cui solo 51 a processo perché riconosciuti attraverso i video, ci insegnano che la cultura dello stupro ci riguarda tutti, e dobbiamo iniziare a raccontarla diversamente. Perché in quell’aula di tribunale di Avignone stiamo assistendo ancora al rigetto delle proprie responsabilità. In quasi due mesi di testimonianza, la corte ha infatti sentito decine di uomini accusati, e la maggioranza ha negato lo stupro, poiché, come hanno detto in corte, pensavano che in realtà Gisèle stesse fingendo di dormire o stesse giocando, o sentivano che il fatto che suo marito avesse acconsentito era sufficiente. Gli uomini sotto processo insieme a Dominique Pelicot sono d’età compresa tra i 26 e i 74 anni, includono un infermiere, un giornalista, una guardia carceraria, un consigliere locale, un soldato, alcuni camionisti e lavoratori agricoli, e potrebbero ricevere condanne fino a 20 anni. Si sono spalleggiati a vicenda per dieci anni, dieci anni durante i quali se anche solo uno di loro avesse rotto quel patto schifoso di omertà e connivenza, Gisèle Pelicot avrebbe potuto denunciare prima, portare prima in tribunale quel marito che le cucinava piatti drogati per poi fare di lei ciò che voleva. La vergogna, ha ragione Gisèle Pelicot, in questa storia sta solo da una parte, la speranza è che arrivino a provarla, questi stupratori cresciuti in una società che ha loro concesso e perdonato tutto. Fino ad oggi. Fino a Gisèle Pelicot.

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