Serie A, Napoli-Torino 2-0 McTominay

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Doppietta dello scozzese nel primo tempo, i granata soffrono l’assenza di Ricci e creano poco. Per Conte passo fondamentale verso lo scudetto

Antonio Giordano

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Alle 20.55 (ma che ora è, non cominciano le partite e in genere non finiscono?) si può anche smettere d’essere prudenti oppure sobri e perdersi per una notte intera. Alle 20,55, il 7′ d’una gara utile per cominciare a riscrivere la Storia, Napoli esce da quel labirinto nel quale, almeno fino alle cinque del pomeriggio l’ha tenuto l’Inter, e se ne va a petto in fuori nel proprio sogno: quattro partite alla fine, sono appena 360′, e bisognerà adesso domare se stessi, per evitare di farsi del male. Lo scudetto, fino a ieri mattina scartato dal vocabolario, entra ora di diritto nel lessico partenopeo, ancora e di nuovo, a due anni di distanza dal terzo: tre punti sull’Inter sono pochi eppure tantissimi e certe sensazioni non si possono confessare ma almeno trasmettere. Alle 20.55 Scott McTominay ha fatto ciò che sa fare meglio in questo anno che sa di lui: palla di Anguissa nel mischione, anticipo secco come un avvoltoio e messaggio allo stadio, credeteci. 1-0 sul Torino che è rimasto chiaramente stordito, ha provato a rialzarsi, è andato vicinissimo al pareggio (18′) con Adams, scovato chissà come da Linetty, e palla alta di un palo, magari meno. Poi, è diventata strategia conservativa del Napoli, giropalla, tante varie cose per mettersi in sicurezza: Scott McTominay è un genio, l’ha capito e, 41′, sul cross di Politano ha rifatto tutto lui, quasi indossasse una specie di virtuale mantello per viverla bene questa nottata con gli occhi spalancati. 2-0 sul Torino: undici volte McTominay, ma chi lo avrebbe detto? 

KROL E IL CHOLO

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E’ una serata attraversata tra le stelle, in tribuna c’è Ruud Krol e poco più in là il Cholo Simeone, che è venuto a starsene con il figlio e non ha voluto rinunciare all’occasione di capire cosa si nasconda dietro un’impresa che può essere realizzata: il Napoli fa con naturalezza ciò che sa gli serva, non esagera ma controlla e il Torino di Vanoli, dignitosamente, è nelle chiusure di Maripan su Lukaku, nella corsa di Pedersen che tenta qualcosa, in Linetty che non s’arrende: ma Conte ha il piano scolpito nella testa, l’ha rivisto dopo aver perso Raspadori al mattino per influenza (che sconsiglia di mandarlo in campo dall’inizio) e si è affidato al 4-3-3 con Spinazzola altro a sinistra e Politano omologo di destra, un diavolo. E poi la maturità di una squadra che ha capito di poter costruire qualcosa di inimmaginabile, almeno sette giorni prima: era dietro all’Inter di tre punti, ora sta sopra di tre, deve andare a Lecce, aspettare il Genoa, poi viaggiare su Parma e aspettare il Cagliari. Lo farà forse con un Buongiorno ammaccato (fuori per infortunio), con Anguissa e Lobotka da verificare, senza Juan Jesus che non rientrerà e adesso senza neanche più l’ombra di Kvara, il 17 gennaio uscito dal Napoli, da quella sera indebolito eppure rafforzatosi nel carattere, consapevole di dover aggiungere personalità a se stesso, non avendo più il Talento. 

emozioni

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Napoli-Torino può essere raccontata tecnicamente in pochi highlihts, il resto è emozione che si percepisce, le sensazioni di uno stadio che ha smesso di tenersi legato alla scaramanzia e quando il signor McTominay l’ha consegnata all’archivio, ha ritenuto che, pur con la necessaria serenità, fosse il caso di cominciare a pensare ad altro, a come far in queste quattro domeniche in cui il destino è nelle proprio mani. Quelle di Conte, quelle del Napoli mentre il Maradona lo urla alle tenebre: «E se ne va, la capolista se ne va…». Erano già le 22.45, si poteva pure strillarlo a quel punto.



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