Raspadori, fantacalcio: quando segna il Napoli non perde

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Prima della Lazio solo 310 minuti in campo, adesso Conte lo vuole rilanciare come spalla di Lukaku

Antonio Giordano

A un certo punto, banalmente, qualche dubbio deve essere venuto a chiunque, nell’immaginario collettivo: poi basta un attimo, un guizzo o un flash, e il talento – quello vero – riemerge dalla bruma e dal letargo. Per un (bel) po’, Giacomo Raspadori s’è perso dentro un Napoli divenuto improvvisamente troppo grosso per lui, figlio di un equivoco gigantesco che l’accompagna dalla “nascita” (ma è prima punta? seconda? esterno?) e che però sia Giuntoli, che lo volle al Napoli, che De Zerbi, il suo “papà” al Sassuolo, hanno azzerato cercandolo nel mercato di gennaio. E comunque, ora che sembra sia passata la “nuttata”, rimettendo assieme i cocci d’una stagione divenuta un tormento, si spiega quell’astinenza sorda che ha distratto nelle analisi: nelle 24 partite che hanno preceduto l’investitura dell’Olimpico, la sua esistenza era stata marginale, lo sostengono le statistiche che riassumono in 310 minuti il suo vissuto. 

Modello

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Raspadori è sempre stato un modello di comportamento, mai una riflessione oltre le righe, né un’espressione stanca o ribelle: ma per sei mesi, da agosto a sabato, nel suo curriculum vitae c’erano finite 13 presenze, 11 panchine, e quindi una terra di mezzo in cui interrogarsi per capire quale fosse il suo ruolo. Quando la Juventus e l’Olympique Marsiglia hanno chiamato, il Napoli s’è eclissato: aveva già ceduto Kvaratskhelia e, come avrebbe detto Conte, “dovevamo dar via pure lui?”. L’emergenza qualcosa ha spiegato: Raspadori per Conte è la spalla di Lukaku, deve girargli intorno, dialogare nello stretto, come contro La Lazio, prenderne gli appoggi, poi – se capita – controllare di destro, calciare con potenza di sinistro e andarsene incontro al vento, per sentirsi una carezza sul volto.

Talismano

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Con Raspadori che festeggia il Napoli non conosce sconfitte, perché in tre anni non c’è traccia d’amarezza nelle nottate in cui l’attaccante ha onorato se stesso e le scelte dei suoi allenatori: quest’anno, gol al Venezia e alla Lazio (una vittoria e un pareggio), con la triade Garcia-Mazzarri-Calzona, decisivo a Berlino, per i pari a Genova e con il Milan, nello 0-2 di Salerno e nel 2-1 alla Juve, poi compartecipe del 2-4 di Monza; con Spalletti, era nelle abbuffate di Glasgow, di Amsterdam, con i Rangers al Maradona, e fu determinante con lo Spezia e in casa della Juve. Si cala un Jack ma in realtà è un asso.



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