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Prima Arnautovic, ora Sanchez: Inter, ma che mercato è? – La Gazzetta dello Sport

September 8, 2023 | by allcalcio.it

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Stefano Agresti
Quando El Nino Maravilla, al secolo Alexis Sanchez, se n’è andato dall’Inter, ha consegnato ai posteri messaggi carichi di veleno contro il club nerazzurro e soprattutto contro Inzaghi. Colpevole, a suo avviso, di averlo fatto giocare poco considerato il suo – presunto – valore. Accuse che ha ripetuto pubblicamente pochi mesi fa, quando ha ricominciato a segnare con la maglia del Marsiglia. A Zhang quell’addio è costato un bel po’ di milioni, quattro e mezzo, consegnati al cileno purché se ne andasse altrove. Nel momento in cui ha svuotato l’armadietto della Pinetina, portandosi via una buonuscita d’oro, in sede hanno tirato un sospiro di sollievo, e lo stesso ha fatto l’allenatore.
Sono passati dodici mesi, non dodici anni, e assistiamo a un evento che non avremmo mai creduto di poter vedere: lui, Alexis Sanchez, torna all’Inter accolto con tutti gli onori del caso. Eppure il presidente è lo stesso e i dirigenti sono i medesimi, così come il tecnico. È possibile che l’uomo spinto alla porta quasi con la forza, sicuramente con tanto denaro, rientri subito dalla finestra? È proficuo che nello spogliatoio venga reintrodotto un oppositore di Inzaghi? E, anche volendo mettere da parte queste vicende economiche e personali, quale senso ha andare a prendere un attaccante che corre verso i trentacinque anni?
L’ingaggio dello svincolato Sanchez è l’ultimo episodio di un mercato – quello dell’Inter – difficile da comprendere, almeno nella sua parte finale. Le prime mosse hanno avuto sicuramente una logica, non a caso le abbiamo applaudite: fuori Dzeko e dentro Thuram, fuori Brozovic e dentro Frattesi, un ringiovanimento bello e positivo, con rischi tecnici limitati. Anche la cessione di Onana è comprensibile, perché in linea con le condizioni economiche difficili dei nostri club: di fronte a proposte come quella dello United, è praticamente impossibile dire no. La strategia di mercato dell’Inter, a quel punto, era tracciata: il denaro incassato dalla cessione di Onana sarebbe stato impegnato per Lukaku, e il nuovo portiere (Sommer o chi per lui) sarebbe costato una manciata di milioni. È stato il tradimento del belga, il suo clamoroso voltafaccia, a rimettere tutto in discussione, e forse a far perdere un po’ di serenità all’Inter. Che da quel momento ha fatto scelte difficili da capire.
In attacco oggi l’Inter ha due ragazzi di trentaquattro anni suonati: Arnautovic (un altro ritorno) e Sanchez. L’opera di svecchiamento si è fermata presto. Prestissimo. Oltre a loro, nel reparto offensivo ci sono Thuram e – per fortuna – l’intoccabile Lautaro. Qualcuno può sostenere che là davanti i nerazzurri siano più forti rispetto alla scorsa stagione quando, accanto al Toro, c’erano Lukaku, Dzeko e Correa? Non è diminuita l’età media, benché il bosniaco non sia un ragazzino; si sono invece ridotte in misura sensibile la forza, la qualità, la capacità realizzativa. Ma come si è arrivati a questo punto?
L’Inter avrebbe potuto investire i 35-40 milioni destinati a Lukaku su un altro attaccante. Non sarebbero stati sufficienti per acquistare un fuoriclasse, ma si poteva provare a prendere un elemento importante, magari di prospettiva. Ai dirigenti, ad esempio, piaceva molto Balogun, 22 anni, ventuno gol in Ligue 1 con il Reims, ora conteso tra Monaco e Chelsea. Invece il dibattito interno (Marotta e Ausilio volevano l’americanino dell’Arsenal, Inzaghi premeva per un centravanti puro) ha portato i nerazzurri a spendere una decina di milioni per Arnautovic anziché puntare tutto su Balogun. Di conseguenza si è deciso di destinare la parte rimanente del tesoretto a un difensore: Pavard. C’è chi sostiene che la cifra fissata dall’Inter – 35 milioni – sia eccessiva. Probabilmente non è così, anche se il suo contratto con il Bayern scadrà nel 2024: si tratta di un calciatore di grande esperienza, campione del mondo nel 2018, e comunque quando tratti con club ricchi come quello bavarese le valutazioni non possono essere basse.
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A noi lascia sorpresi soprattutto la filosofia: potendo investire su un unico calciatore, avendo l’opportunità di battere un solo colpo, perché puntare sul difensore anziché sul centravanti? Chi pesa di più nell’economia di una squadra? Qual era la lacuna principale dell’Inter, la retroguardia (che nella scorsa stagione, già senza Skriniar, ha accompagnato i nerazzurri in finale di Champions) oppure l’attacco, orfano di Lukaku e Dzeko?

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