Diego Piacentini, manager milanese che ha lavorato per i maggiori colossi mondiali del tech, da Apple ad Amazon, vive da 25 anni a Seattle, ma sempre col nerazzurro nel cuore: “Io e mia moglie Monica
In questa casa con vista magnifica nella quiete di Bellevue con attracco sul lago di Washington, proprio dove un tempo sostavano in inverno le baleniere di passaggio per prepararsi al viaggio primaverile verso l’Alaska, il suono è familiare: Diego Piacentini, 65enne milanese di Lambrate, noto manager tech, assieme alla moglie Monica accoglie i commensali con l’inno dell’Inter. Sul divano, poi, la coppia nerazzurra ha sparso maglie di ogni epoca, da Ronaldo a Barella, giusto per far capire che qua si azzera la distanza da San Siro. Ha iniziato la sua carriera in Apple arrivando a guidare Apple Europa per Steve Jobs, poi è stato storico collaboratore di Jeff Bezos sin dai primissimi anni di Amazon e per due anni, dal 2016 al 2018, ha avuto un ufficio a Palazzo Chigi come commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale del governo. Piacentini siede ora in diversi board, tra cui quello dell’Economist e di DoorDash, e lavora da advisor per alcuni fondi di investimento e soprattutto per Vento, il nuovo fondo per start-up italiane: è tra gli italiani più conosciuti nella zona di Seattle ma, tra mille impegni, c’è una cosa per cui ha sempre tempo. Si chiama Inter.
Piacentini, che cosa è l’Fc Internazionale vista da qua?
“È famiglia, qualcosa che appartiene a me e a Monica ancora prima di nascere. E poi ai nostri figli: Andrea, che ora abita tra Milano e Lerici ed è arrivato negli Usa a 5 anni, e Niccolò che abita a NY con la moglie Hannah ed è in questo Paese da quando ne aveva otto. Pensate che mio padre era a San Siro per la finale di Coppa Campioni con il Benfica del 1965, mentre io la prima partita allo stadio l’ho vista nei primi anni Settanta. Era un periodo triste dopo la finale persa con l’Ajax: giocavamo contro la Fiorentina, ricordo i popolari allo scoperto, il secondo anello, l’ombrello sotto la pioggia. Una partita tristissima. Ma la ‘fede’ non è mai stata intaccata. Oggi, invece, attraverso l’Oceano pur di vedere la mia squadra…”.
Quali viaggi nerazzurri le sono rimasti più nel cuore?
“Le tre finali di Champions dal 2010 a oggi. Più la prima che le altre due… Sono sempre partito da Seattle che non è dietro l’angolo. A Madrid rischiavo di non arrivare per una coincidenza di impegni. Ero imbarazzato nel dire a mia moglie che forse non ce l’avrei fatta, ma lei mi ha convinto così: ‘Tu lavora, tranquillo, io vado per i fatti miei io con i ragazzi…”. Ovviamente, ho risolto tutti gli impegni… Mio figlio doveva partecipare al famoso ballo del liceo, il ‘prom’ che si vede nei film, un momento importantissimo, ma alla fidanzatina ha detto: ‘Ciao, ciao, io vado a vedermi l’Inter…’. Ha perso una ragazza, ma ha guadagnato una Champions”.
Le altre due, invece…
“Partiamo dal fatto che è stata, comunque, una impresa, un doppio viaggio straordinario: non potevamo pensare di fare due finali in tre anni. A Istanbul siamo arrivati con volo diretto e, per una volta, non abbiamo fatto scalo. La finale di Monaco, invece, per me non si è mai giocata: preferisco pensare solo alla bellissima giornata pre-partita passeggiando per Monaco con gli altri tifosi. Ricordo anche troppo bene il malinconico kebab nel post, era l’unico posto aperto nel centro città. O, meglio, ripenso alla semifinale con il gol incredibile di Acerbi: io l’ho vista qui a Seattle, mia moglie era invece a San Siro. Per la tensione ha avuto dolore ai muscoli per 4 giorni! Ma non è che io vada solo alle finali: vado a San Siro quando sono a Milano, ma ricordo ad esempio anche una partita a Glasgow di Europa League nel 2014-15 con Mancini in panchina”.
Adesso, però, l’Inter è venuta a giocare il Mondiale fino a casa sua.
“Ho incontrato il presidente Marotta e Oaktree nel campo in cui si allenano, quello dei Seattle Seahwaks: la nostra squadra è in mano a gente preparata e con idee chiare. Il mio primo contatto con la società Inter risale, invece, al 1999, era il secondo anno del Fenomeno e io ero a capo di Apple Europa. Quella volta mi chiamò Milly Moratti perché voleva sostituire i loro computer del tempo in sede con dei Macintonsh e non sapeva che fossi interista, così tanto interista. Non aveva neanche finito di parlare ed ero già da lei. Dopo quell’incontro, Ronaldo partecipò a una convention dei nostri dealer: neanche ci credevano quando lo hanno visto arrivare”.
Come è la Seattle in cui fa base l’Inter? Come è la città vista da dentro dopo tanti anni?
“Io ho fatto un anno di scambio al liceo nel 1978 a Olympia, non lontano da qui, nella capitale dello stato di Washington: per capire quanto fosse amato il soccer all’epoca, non sono riuscito neanche a vedere un minuto del Mondiale argentino in tv. Il caso ha voluto che 22 anni dopo, nel 2000, arrivassi proprio a Seattle per entrare in Amazon e negli ultimi 25 anni ho fatto base qui. C’è un equilibrio eccellente tra un centro urbano molto vivo e una natura incantevole: nel lago davanti casa pesco i salmoni, vicino al tetto c’è il nido di un’aquila e, se mi sposto di poco, trovo pure gli orsi”.
Musica, colossi della tecnologia, atmosfera internazionale: è sempre stato così qua?
“La città è cresciuta con l’industria del legname all’inizio del ‘900, poi qui è stata fondata la Boeing che ha fatto epoca. Seattle ha poi vissuto un momento di buio con la crisi del settore: la gente andava via e il motto era “l’ultimo che lascia la città spenga la luce”. La fortuna è stata poi che qua è nato Bill Gates, quindi la Microsoft, e poi è arrivato Jeff a creare Amazon”.
Per chiudere, qual è per lei il volto dell’Inter di ieri e in quella di oggi?
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“Nel Natale del 2019 ci scambiavamo sotto l’albero delle maglie dell’Inter come regalo e mio figlio pensava di essere stato sfortunato a non aver beccato Lukaku, ma Barella. Oggi possiamo dire che non poteva andargli meglio, Nico è il volto di questi anni! In passato ho amato l’eleganza di Djorkaeff, anche se l’uomo che ha cambiato la percezione del club davanti ai miei occhi è Kalle: Rummenigge, che forza della natura”.
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