Il cantante e volto tv è anche l’autore dell’inno bianconero: “Quando lo stadio lo canta, per me è come entrare in campo Sono amico di Del Piero, porterò Spalletti a Ballando con le stelle”
Nel suo ultimo singolo, Tutto l’amore che c’è, si sente anche un “alé oh oh”: “Questa canzone è un inno alla vita, da ballare tutti insieme, cantando come allo stadio”. La passione per il calcio e per la sua Juve resta centrale nella vita di Paolo Belli, leader della Big Band (anche) di Ballando con le Stelle (“Io sono l’allenatore, prima di ogni concerto chiedo ai ragazzi i tre punti”) e autore dell’inno bianconero: “Quando parte all’Allianz Stadium tutti mi guardano, non posso permettermi di sbagliare neanche una sillaba! Sono sempre preoccupatissimo… Ovviamente scherzo, essere l’autore di quella dichiarazione d’amore che tutti cantano a squarciagola per me è come entrare in campo. Ho realizzato il mio sogno di bambino”.
Perché lei, nato in provincia di Modena, ha scelto la Juve?
“Esiste una mia foto da neonato in cui sono avvolto in una bandiera bianconera, merito di mio padre. Da bambino scrivevo decine di lettere ad Anastasi, imbucandole senza nemmeno sapere che si doveva aggiungere l’indirizzo… Ero piccolo! La passione per quei colori comunque l’ho trasmessa a figlio e nipoti. Quando abbiamo adottato Vladik aveva sette anni, non sapeva una parola di italiano e gli sussurravo “Juve” di notte perché volevo fosse la sua prima parola nella nostra lingua!”.

Il giocatore a cui è più legato?
“Ce ne sono tanti, molti li conosco bene, come Del Piero, che mi ha aiutato tanto quando ero presidente della Nazionale Cantanti, o Ferrara, con cui mi scrivo continuamente. Ed ero amico di Vialli… Sportivamente non posso non citare Baggio, anche se a me piacciono soprattutto i giocatori arcigni e stravedevo per Davids. Però mi sono inginocchiato davanti a Cristiano Ronaldo, baciandogli il gomito e cantando: “Ave Cristiano” … Pensavo che la scorta mi prendesse a cazzotti; invece, lui ha cominciato a ridere di gusto e mi ha abbracciato. Lo ammiro perché ha sempre lavorato più degli altri per arrivare dove è oggi. Si merita tutto. Detto questo, quando giocavo ho voluto la maglia numero 6, quella di Gaetano Scirea, che per me rappresenta tuttora un esempio di eleganza e altruismo non solo in campo. Ci sono sportivi che vanno seguiti e stimati per quello che insegnano”.
Gliene vengono in mente altri?
“Claudio Ranieri. Abbiamo passato un mese nello stesso hotel di Firenze all’inizio degli Anni 90, io registravo un disco e lui allenava la Viola: è stato un incontro meraviglioso e quando sento oggi certe sue dichiarazioni ritrovo quello che diceva trent’anni fa”.
E il no alla Nazionale?
“Coerente! Aveva già dato la sua parola alla Roma, Ranieri è fatto così, una persona speciale”.
E dell’Italia di Gattuso che pensa?
“Non vorrei mai essere nei suoi panni, è davvero tosta: non siamo più la mecca del calcio, capace di sfornare giocatori su giocatori e vincere. Ormai fatichiamo persino a qualificarci e la cosa è abbastanza tragica. Manca attenzione verso i giovani italiani, bisognerebbe mettere dei paletti, imporre ai club di farne giocare un paio: nel lungo periodo sarebbe un investimento vincente. Magari anche noi abbiamo il nostro Yamal, ma non ce ne accorgiamo perché si pensa sempre all’oggi e mai al domani. Prendete Totti, ha esordito nella Roma a 16 anni e gli hanno dato modo di giocare e crescere: siamo sicuri che oggi avrebbe le stesse opportunità?”.

Sappiamo che conosce bene Spalletti. Come pensa abbia vissuto l’addio alla Nazionale?
“È un amico, una delle persone più spiritose che conosca, mi dà sempre del gobbaccio… E prima o poi riuscirò a portarlo a Ballando! Quanto all’Italia, spesso ci si dimentica che anche il calcio è fatto di persone normalissime, con le loro ansie, le gioie, i pianti, le risate e le fragilità. Quella vicenda brucia, brucia, brucia, perché Luciano ama la Nazionale. Credo che anche lui non sia stato messo in condizione di avere materiale sportivo sufficiente per raggiungere dei risultati”.
Torniamo alla Juve. Tudor?
“Un grande! Premesso che io ero convinto che Thiago Motta facesse sfracelli, questo signore è arrivato in corsa, conoscendo bene il mondo bianconero, e ha risolto la situazione. Grande Tudorone, sono contento che sia rimasto e sono convinto che facendo anche la preparazione dall’inizio farà una bella stagione. Abbiamo bisogno di altri due anni di investimenti, il progetto richiede tempo, ma la strada è quella giusta. Serve pazienza, peccato che io non ne abbia mai avuta e faccia fatica anche adesso! Lo scudetto una lotta tra Inter e Napoli? Faccio fatica a rispondere, dico solo che il prossimo anno dobbiamo comunque vincere qualcosa”.

L’altra sua grande passione è il ciclismo.
Il Fantacampionato Gazzetta è tornato, con il montepremi più ricco d’Italia! Iscriviti e partecipa
“Fino a qualche anno fa facevo dai 15 ai 18 mila chilometri l’anno, ultimamente non arrivo a 10 mila e mi dispiace, perché pedalo da quando sono bambino, da quando dopo il terremoto di Carpi ho scoperto che su gomma non senti le scosse… Il mondo visto dalla bicicletta è un’altra cosa e pedalare non è solo una passione, è proprio uno stile di vita. Vi confesso una cosa, spesso ormai uso la bicicletta elettrica, ma c’è un motivo: devo stare dietro a mio nipote Damir, che ha 10 anni e va fortissimo. Gli ho trasmesso anche la passione per il ciclismo, è bravo, partecipa anche alle gare e vince. Lì mi trasformo, divento il classico nonno che urla… Perché vedere il bimbo che fatica, che impara il senso del sacrificio, l’importanza della sconfitta, che sorride dopo ogni arrivo a prescindere da com’è andata, mi fa impazzire. Gli ripeto spesso che il talento da solo non basta, a fare la differenza è soprattutto il lavoro: per fortuna i suoi idoli sono Cristiano Ronaldo e Pogacar, due che si sono fatti un mazzo così. E alla fine, nello sport come nella musica, la fatica paga”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA