L’argentino arriva da protagonista, con il Como che sogna l’Europa. E già segnò agli azzurri con la maglia del Real Madrid
Spregiudicato, senza drammaticità, Nico Paz torna al Maradona da protagonista, in una somma di storie argentine. Se gioca ancora al Como è per colpa o merito di un altro dribblomaniaco argentino: Franco Mastantuono che occupa, per ora, il suo posto al Real Madrid. Può essere pure che Paz sia condannato ad essere un ulisside calcistico e a tornare a giocare al Bernabeu tra diversi anni, visto che il Tottenham ha offerto settanta milioni per averlo. Per ora resta con Cesc Fabregas su “quel ramo del lago di Como” dove ha una squadra costruita e che gioca per lui, che gli permette di fare il vagocampista e soprattutto di sperimentare tutto quello che gli pare. Sombrero, ruleta, tacco, dribbling, punizioni, giocando tra le linee con una libertà da bambino infinito. Per questo ha sempre il sorriso, si diverte, fa divertire e la squadra e la palla girano. Una enclave di felicità calcistica che parla perlopiù castigliano. Nel giro di un anno è diventato il calciatore giovane dal quale aspettarsi lo stupore nel nostro campionato, un piccolo Redondo, anche se in Spagna vedevano in lui un Kakà che però correva come Juan Manuel Fangio. Paz, invece, ha una dolcezza di movimenti strutturata, quasi compiaciuta, ma che non involve mai nel vezzo. A Como è diventato autorevole senza perdere la dolcezza né la voglia di inventare giocate, facendo convivere il pragmatismo delle vittorie con l’inclinazione alla fantasia. È un eccellente calciatore selvaggio con una vocazione sperimentale, per un paradosso è quello che manca al Napoli, l’istanza Maradona. Quella di Conte è una squadra che fa a meno della fantasia, incarnata per pochissimo da Kevin De Bruyne, e prima, con grandi esiti estetici, da Khvicha Kvaratskhelia. Col ritorno di Nico Paz al Maradona, seppure da avversario, Napoli troverà un argentino non vincolato all’ordine calcistico, uno Javier Pastore che non si muove sul ritmo del tango, ma sulle note di Luis Alberto Spinetta, strappando e strapazzando, Alma de Diamante.
dna e fantasia
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Nico Paz ha il dna argentino e l’educazione da canario, un trequartista che ha tutti gli elementi per diventare un calciatore determinante persino nel Real Madrid. A ventuno anni, per ora, ha fatto svoltare il Como, poi a fine stagione sapremo se l’ha persino portato in Europa, oppure ha solo fatto divertire tutti quelli che lo guardano giocare, comunque un grande risultato nel deserto dei campi dove un dribbling con ruleta diventa una oasi sempre più rara. Per questo a Napoli lo aspettano come aspettano i turisti, sapendo che ci guadagneranno una nuova storia, forse persino il dispiacere di subire un gol, perché con un gol a Madrid si presentò Paz contro il Napoli rifilando una giocata che poi è diventata un suo classico: riceve palla stando di spalle a Jens Cajuste, ruota col pallone incollato al piede, se ne libera, falcheggia e poi tira di sinistro nell’angolo e segna con la complicità di Alex Meret. Ora questa giocata è una delle sue specialità, che si aggiunge al sombrerizzare i suoi marcatori e liberare in area i suoi compagni che siano Morata o Douvikas. Palla a Nico Paz e il resto è romanzo d’avventura con pallone. Perché è il calciatore che lenisce la nostalgia per il trequartista capace di tutto, pronto a tutto, impastato di immaginazione e audacia.
purezza ed eleganza
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Con Paz in campo niente è scritto, ma solo accennato, e ogni pallone può avere una conseguenza da protagonista. Fabregas lo tiene tra le parentesi di Caqueret e Vojvoda o Kühn e Diao o Addai e Baturina: centrale in un centrocampo a tre – a riprova della varietà di combinazioni da lego – o solitario con cinque dietro (Vojvoda, Da Cunha, Perrone, Caqueret e Moreno) come contro la Juventus, dove ha fatto un dribbling con l’esterno, una linguaccia sul campo, prima di segnare un gol che lo svincolava dal presente di giovane promessa. Perché Paz mobilita emozioni, profetizzando l’impensabile per il Como, e finendo per divertire anche gli avversari. Anche perché i colpi li prende, le marcature le subisce, ma riesce sempre a regalare la giocata, facendo svoltare le partite. Un film di Cronenberg, non sai mai come può finire. E anche quando non segna, accarezza il pallone con la suola, come abbiamo visto fare con scalpore l’altra sera a Petar Sucic contro la Fiorentina. Suole come isole all’orizzonte. La profondità cercata con la classe, per vocazione e coraggio. Paz è una possibilità. Ancora acerba eppure già decisiva. La sua purezza tecnica, l’eleganza dei movimenti, anche la sua lentezza rispetto a uno Yamal, il tocco sotto con cura, quasi un movimento piano, soluzione che viene da lontano e che rischia di scomparire. Nico ha dimostrato di sapersi adeguare velocemente senza perdere il controllo del gioco, creando scompiglio nelle difese. Dando un piede, quello sinistro, al Como e una grande mano alle idee tattiche di Fabregas. Sembra nato sapendo cosa fare in campo con una alleanza tra intelligenza e volontà. Ha l’eredità di una gamba forte che gli viene da suo padre, Pablo Paz, difensore con caratteristiche e posizione in campo diverse, una biografia capovolta dalle giocate di suo figlio Nico che sembra la sua versione avanzata in tutto: reparto, tecnica e possibilità. La voglia di uscire palla al piede, prendendo in affitto il vuoto tra gli avversari per andare a segnare, beffando la normalità.
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