Il ds bianconero ha giocato e vinto con i campani: “Da dirigente si soffre di più, non puoi sfogarti”
Le luci soffuse d’una nave da crociera, l’atmosfera cinematografica, un tempo lontano eppure vicino, perché ci sono immagini iconiche che restano: sotto la maschera del (re) leone – l’11 luglio 2011 – Gokhan Inler si calò in una Napoli che gli sarebbe poi appartenuta per un bel po’. La incontrò dal mare, ondeggiando un po’ sulla inquietudine che rischiava di prenderlo avendo lasciato Udine, la sua prima casa italiana. Stasera si gioca ed è chiaro che nel ruggito di Inler s’avverta chiaramente una vena malinconica di chi ha vissuto bene da calciatore quel tempo sospeso tra Napoli e Udine.
Dentro una partita, Inler, c’è quasi una vita, la sua.
“Sono città che mi hanno dato tanto dal punto di vista umano. Professionalmente, sono stati periodi densi di soddisfazione, da una parte e dall’altra. Sarà emozionante tornare in quello stadio, ripensare alle gioie assaporate assieme: la vittoria delle Coppe Italia, la Supercoppa di Doha, la Champions League con il gol in Spagna, al Villarreal, che aprì le porte degli ottavi”.
Rivede il Maradona dalla panchina, come ds bianconero neo diplomato a Coverciano e fresco di master a Londra.
“Si stava meglio in campo, ovviamente, non solo per l’età che passa. Fuori si soffre e tanto, non hai la possibilità di bruciare le tensioni come quando sei calciatore”.
Che partita si aspetta?
“Difficile, molto fisica, affrontiamo un’avversaria di assoluto livello, piena di calciatori di talento, con un allenatore che ha vinto tanto. Faremo la nostra parte, ci proveremo, perché questa Udinese sta dimostrando ancora di avere valori”.
Il vostro progetto è una sicurezza, lo dice il vissuto: e Inler cosa vuole metterci di suo.
“Gli studi e l’esperienza mi hanno indotto a pensare che la funzione del direttore sportivo stia cambiando, si stia evolvendo. Un calciatore non deve avere alcuna preoccupazione, ci sono aree di intervento che devono competere ad un dirigente, per fare in modo che gli atleti abbiano la testa libera. Diciamo che un manager deve agire e saperlo fare a 360°. Io spero di dare identità, sicuramente ci metterò serietà e intensità: sono in un club che ha dimostrato di saper fare calcio, la testimonianza è in questi 30 anni di Serie A di seguito, in ciò che ha fatto la famiglia Pozzo per il club”.
“Fare meglio delle ultime stagioni, confermare la nostra filosofia, che sta dando risultati. Rispetto alla scorsa stagione abbiamo meno esperienza, ma ragazzi che possono regalarci le soddisfazioni che inseguiamo. Il gol di Iker Bravo, domenica scorsa contro il Venezia, ha sottolineato questo nostro desiderio, è stato come una liberazione in quel momento, ed ha premiato un ragazzo che merita”.
Struttura invidiabile e poi, davanti, quel Lucca che qualcuno affianca in certi aspetti a Lukaku.
“La sua è una provocazione, ci sta. Ma sono diversi, ovviamente. Lorenzo è cresciuto ed ha margini di miglioramento notevolissimi, davanti alla porta è diventato micidiale. E secondo noi tornerà utile anche a Spalletti”.
Tra i suoi momenti da rivivere ci sono i gol.
“Ne ho tre nella mia personale classifica che si staccano dagli altri: uno in Nazionale, contro la Slovenia, dalla distanza; uno con l’Udinese, contro il Werder Brema, però di destro; e quello a Londra, con il Chelsea. Con modestia dico, non furono casuali, c’era lavoro e preparazione dietro quelle scelte”.
È prudente, misurato, politicamente molto corretto: sulla sfida scudetto si sbilancia?
“Finirà come deciderà il destino, perché chi sta in questo mondo e lo vive da dentro rifugge dai pronostici. Ma è un gran bel campionato e non è possibile prevederne gli sviluppi”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA