Moretti: “Una crisi da ragazzino, lasciai il calcio e divenni tipografo. Poi Baresi…”

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L’ex difensore, ora nello staff del Toro: “A 18 anni alla Fiorentina, ma stavo male. Mio padre mi disse che il grande Franco voleva sapere dove ero finito. Ricominciai subito”

Andrea Masala

Giornalista

Calciatore si nasce o si diventa? Tutte e due. Emiliano Moretti lo è ridiventato. L’ex difensore ha collezionato 601 presenze tra i professionisti: una lunga parabola con striature d’azzurro, come esordiente più anziano in Nazionale, a 33 anni e mezzo. Ora è collaboratore dell’area tecnica nel Torino, a 44 anni si gode la famiglia: la moglie Carolina, psicologa, i figli Matias, campione d’Italia con il Toro Under 17, e Aurora, nuotatrice e specialista dei 200 dorso. Più il labrador Happy. La sua carriera è rinata dopo un colpo di scena, Moretti lo racconta quasi sottovoce. “Partiamo dagli inizi, alla Pantheon Travel di Roma: il mio primo allenatore è stato Vincenzo D’Amico. Immaginate mio padre, tifoso della Lazio. Poi alla Lodigiani, c’è stato il salto di qualità: abbiamo vinto lo scudetto con la Berretti, ho debuttato in Serie C a 17 anni”. 

Nel 2000 è passato alla Fiorentina. 

“È accaduto all’improvviso, in extremis a gennaio. Mi stavo allenando alla Borghesiana, mi chiamano: “Dacci una risposta”. Con lo scooter mi precipito a parlare con i miei, era il mio primo spostamento. Okay immediato ai viola, logico. Sono subito andato al ritiro di Viareggio, con la Primavera”.

EMPOLI, ITALY - APRIL 6: Emiliano Moretti of Torino FC looks on during the Serie A TIM match between Empoli FC and Torino FC - Serie A TIM  at Stadio Carlo Castellani on April 6, 2024 in Empoli, Italy.(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Meglio di così, la grande chance. 

“Ecco, ora parlo di un argomento che ho sempre trattato con molto rispetto. Certi momenti sono pietre su cui si basa la crescita di una persona, diventano parte di te stesso. Non mi va però di condividere tutto, non sono uno che si lascia andare, anche se mi ritengo sensibile e sentimentale. A Firenze, dopo il torneo di Viareggio, ho una distorsione alla caviglia. L’infortunio comunque non ha inciso rispetto al problema principale. Mi curavo e non mi allenavo: è iniziato un periodo di grande difficoltà, faticavo ad abituarmi a una vita diversa, senza le mie certezze. In 2-3 mesi il disagio è aumentato sempre di più. Non ne parlavo con nessuno, non chiedevo aiuto: pensavo di poter combattere da solo. Al convitto con me c’erano ragazzi che vivevano la più entusiasmante delle condizioni: un club storico, calcio ad alti livelli…”. 

Però il suo malessere non passava. 

“Una mattina alzo il telefono: “Papà, prendo il primo treno e vengo a Roma”. Abbandono totale. C’era una opportunità, ora non c’era più nulla. Per me in quel momento la soluzione più facile era rimuovere il problema. Sono tornato a Roma, a San Giovanni. A papà Luigi e a mamma Maria dico: “Io smetto con il calcio”. I miei erano preoccupatissimi: hanno cercato di aiutarmi in tutti i modi, di farmi aprire. La mia reazione però è stata negativa: tante attenzioni mi davano fastidio. Se una cosa non mi fosse piaciuta, non ci sarebbe stato verso di farmi cambiare idea. La mia vita, dopo un’occasione d’oro, diventava un’altra”. 

ATHENS - AUGUST 18:  Emiliano Moretti #3 of Italy is tackled by a player from  Paraguay in the men's football preliminary match on August 18, 2004 during the Athens 2004 Summer Olympic Games at Karaiskaki Stadium in Athens, Greece.  (Photo by Andy Lyons/Getty Images) *** Local Caption *** Emiliano Moretti

Niente più calcio, quindi scatta il piano B. 

“Alle superiori ho studiato arti grafiche, del tutto naturale con mio nonno tipografo e mio padre pure. Ho cominciato a lavorare in tipografia, mi piaceva. La Fiorentina, nel frattempo, mi ha trattato con molto rispetto. Hanno provato a capire: “Abbiamo sbagliato qualcosa noi?”. Sono passati interi mesi, tutto per me si era normalizzato. Mai una partita, zero totale. Era la mia routine, ero molto sereno: dopo un percorso di ottimo livello nelle giovanili, ero alla Fiorentina. E poi basta, stop”. 

Eravate tutti rassegnati? 

“Sì, ma un giorno accade un episodio che io non ho mai approfondito: mi è bastato ciò che è arrivato a me. Stavo lavorando alla macchina di stampa, papà mi fa: “Puoi venire in ufficio?”. Io interrompo, lui mi guarda in maniera particolare e mi dice che gli era arrivata una telefonata da una certa persona, non so se fosse vero o no. “Questa persona è stata contattata da Franco Baresi”. Baresi?!? “Sì, proprio lui. Avrebbe chiesto: ma che fine ha fatto Moretti?”. Ho sentito una botta allo stomaco, a ripensarci ho ancora la pelle d’oca. L’unica parola che riesco a pronunciare è “Grazie”, torno a lavorare. Appena uscito da quella stanza, sono tornato a giocare a pallone: in un attimo ho rivisto tutto. Ero alla macchina e mi dicevo “Che ci faccio io qui?”. Di colpo ho fatto tabula rasa di una crisi. Il mio treno era già passato, ne ho ripreso uno al volo: ho avuto fortuna, è stata la Svolta con la S maiuscola”. 

Come si è regolato con la Fiorentina? 

“Già, un dettaglio… Li ho dovuti richiamare. Io avevo smesso, loro giustamente dopo tre-quattro mesi si erano messi l’anima in pace. Ne ho parlato con papà e mamma, per me si era smosso il mondo intero. “L’unica è chiamare la Fiorentina”, dice papà. Okay, ma come mi ripresento? Io volevo spiegare, ovviamente chiedere scusa e se possibile riprovarci. Sulle prime volevo proporre di riprendere a Roma, ma ho capito che non c’era margine. Ero stato io a causare il problema. Sono andato a Firenze senza ripensarci. Non solo: sei mesi dopo ero in ritiro con la prima squadra. Ho persino avuto una frattura scomposta del perone, gestita però mentalmente in modo del tutto diverso. Sembrava fossero trascorsi 14 anni. Abbiamo vinto la Coppa Italia. Le situazioni capitano, poi ciascuno ne fa l’uso più opportuno. Se sono stato un buon calciatore, lo devo pure all’evoluzione come persona”. 

BERGAMO, ITALY - AUGUST 30:  Emiliano Moretti (C), Alessio Scarpi (L) and Omar Milanetto of Genoa CFC celebrate victory during the Serie A match between Atalanta BC and Genoa CFC at Stadio Atleti Azzurri d'Italia on August 30, 2009 in Bergamo, Italy.  (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)

Nella sua carriera ha avuto fior di tecnici. 

“Mi sento di ringraziarli tutti. In viola prima Terim, poi Mancini. Sono stato con Lippi alla Juve. Poi Mazzone a Bologna. Quindi Ranieri a Valencia: sono stato tra i primi a trasferirmi in Spagna. Mi sono trovato benissimo, ho imparato la lingua, lì è nato Matias. Al Genoa ho avuto Gasperini, al Toro Ventura, Mazzarri e Mihajlovic. E non posso dimenticare Conte, che mi ha chiamato in Nazionale. Allenatori di alto livello: ricordo tutto ciò che mi hanno insegnato”. 

Come è stato il passaggio a dirigente del Toro? 

“È stata una scelta molto ponderata. Avrei potuto continuare a giocare, il Toro mi aveva proposto un altro anno, ma il calcio si stava evolvendo, facevo fatica a rendere secondo i miei standard. Avevo già 38 anni… La maturità ti aiuta a vedere la realtà in maniera più profonda e ho detto basta. Provo ancora sensazioni indimenticabili. Lo striscione, i cori: l’affetto della gente di Torino mi ha trasmesso emozioni profonde, tatuate dentro di me. E così grazie al presidente Cairo ho preso una strada nuova, diversa”. 

Sì, ma senza quella telefonata avrebbe raccontato tutt’altra storia… 

“Magari, se qualcuno la legge, la mia vicenda può anche essere d’aiuto. Chissà…”.



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