Non era mai successo all’ex dirigente del Milan di rimanere così a lungo senza vittorie
Cento giorni, come quelli di Napoleone scappato dall’Elba, prima di Waterloo. L’ultima vittoria del Monza di Adriano Galliani, il 13 gennaio contro la Fiorentina, oggi dista esattamente 100 giorni. Un lasso di tempo assurdo per il dirigente più iconico e vincente del calcio moderno. Nei suoi gloriosi 31 anni di Milan non si è mai spinto fino a 50, al massimo 48 giorni di digiuno, come tra marzo e maggio 1997, al tempo del triste ritorno di Arrigo. In 100 giorni, semmai, come tra il 26 gennaio e il 30 aprile 2005, era capace di ammassare 17 vittorie. Le vacche erano grasse, il Diavolo dominava e il Condor regnava sul mercato. Quel Galliani vincente, scatenato sui seggiolini, a tonsille spiegate, manca al campionato, manca a tutti, non solo ai milanisti, perché rifletteva l’amore viscerale di ogni vero innamorato da stadio. Mettessero in bottiglia la passione calcistica, l’etichetta sarebbe l’Adriano di Perugia ’99.
ingratitudine
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Ora, ammainata la cravatta gialla, bandiera dell’antico pirata, Galliani è in esilio sull’isola dei 100 giorni. Contestato, perfino. Per la favola della Serie A, meriterebbe secoli di gratitudine incondizionata, ma il calcio dimentica. Vacche magre, rubinetti di Famiglia chiusi, nel Duomo di Monza una voce dall’alto: “Adriano, stavolta il miracolo è troppo anche per me”. E così, con amore intatto e composto, accompagna il suo Monza, passo dopo passo, verso la B, fedele nella cattiva, come nella buona sorte, memore della regola di mister Mazzetti: “Se vinci, sei un bravo ragazzo; se perdi, sei una testa di…”. Gli auguriamo nuovi Archi di Trionfo, perché siamo tutti un po’ Galliani.