La divisa delle polemiche ha un senso commerciale chiaro: diffondere il marchio tra i giovani e all’estero. Dall’area marketing, in costante crescita, soldi utili per migliorare la rosa
Sarà stato anche un pugno nello stomaco per i tifosi duri e puri, ma è un fatto che la quarta maglia del Milan sia andata sold-out nel giro di pochi giorni. È il neo-calcio, bellezza. Il kit, lanciato a metà febbraio, è stato acquistato per il 70% da persone nella fascia d’età 20-29 e per il 75% fuori dall’Italia: gli affari sono andati così bene che febbraio è passato agli archivi come il miglior mese di sempre per l’e-commerce rossonero, superando lo scorso dicembre quando venne lanciata la maglia celebrativa dei 125 anni. La divisa contiene un massaggio per nulla banale: ideata nei giorni degli insulti razzisti di Udine contro Maignan, ha come elemento-chiave il 1963, anno del celebre discorso di Martin Luther King e della prima Coppa dei Campioni vinta dal Milan. Una maglia che è stata il frutto della collaborazione, avviata nel 2022, con Off-White, brand di moda dallo stile urban e streetwear amatissimo tra i giovani. “Moda”, “giovani”. Non sono parole buttate a caso. La quarta maglia è il luogo della sperimentazione, è il grimaldello per attrarre un pubblico diverso, è l’esaltazione di una politica che il Milan americano, piaccia o non piaccia, sta perseguendo ostinatamente da qualche anno: posizionare la squadra rossonera nell’intersezione tra sport, lifestyle, fashion e cultura. Non per un capriccio, ma per una logica commerciale. Se il Milan è tornato a essere il club italiano con il fatturato più alto, attorno ai 400 milioni senza le plusvalenze, una buona parte del merito va al segmento commerciale. E se il segmento commerciale è cresciuto dai 57 milioni di introiti del 2018-19 ai 143 milioni del 2023-24, lo si deve anche al reparto merchandising-licensing, cioè alla vendita dei prodotti che per il 70% sono generate dalle divise.
area innovativa
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Un settore, questo, che qualche anno fa fatturava 6 milioni e che la scorsa stagione è arrivato a generare 32 milioni di proventi tra e-commerce, store (saliti da 2 a 6) e royalties. L’attuale esercizio, nonostante le delusioni sul campo, chiuderà con oltre 40 milioni di fatturato. Ci lavorano una ventina di persone, età media 27 anni ed esperienze maturate fuori dal calcio, in industrie come la moda e la grande distribuzione. All’interno del Milan questa è l’area più fresca e dinamica, che dal 2020 è guidata da Valerio Rocchetti e dal 2022 ha assunto la gestione diretta della vendita online della merce, in virtù dell’internalizzazione dell’e-commerce. Per loro il ragazzino che fatica a tenere incollati gli occhi allo schermo per 90 minuti è importante tanto quanto il tifoso attempato e fedele alle tradizioni. Anzi, se si vuole allargare il bacino d’utenza la strada passa da un’estensione dell’offerta rossonera, in senso anagrafico e geografico. Prodotti, non solo le divise da gara, che ammiccano alle nuove generazioni e agli appassionati sparsi nel mondo.
prospettive
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Già ora quasi il 55% degli acquisti proviene dall’estero. In futuro si asseconderà sempre di più la vocazione globale del club, anche attraverso l’apertura di negozi in franchising, con l’obiettivo di arrivare entro 5 anni a 90 milioni di ricavi da merchandising-licensing. Tutto quanto rientra in una logica. Fare crescere il Milan all’insegna della sostenibilità, cioè incrementare i ricavi in modo da generare più cassa e aumentare gli investimenti sulla rosa. Con i diritti tv intermediati da Uefa e Lega e in attesa che decolli il progetto stadio, l’area commerciale è quella dove il club può esercitare maggiore controllo e dove può permettersi di osare, anche a costo di spingere all’estremo le regole del marketing, come nel caso della quarta maglia contestata.
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