Il responsabile del settore giovanile granata dopo la clamorosa doppietta Under 18-Under 17: “Ringrazio Cairo, mi ha sempre fatto portare avanti le mie idee e mi ha dato autonomia. Lavoriamo sull’approccio mentale dei ragazzi. E con il centro Robaldo saremo ancora più competitivi”
Dal 2021 Ruggero Ludergnani è il responsabile del settore giovanile del Torino. In 8 giorni i granata hanno conquistato due scudetti, prima con l’Under 18 – Roma battuta 2-1 ai supplementari a Latina – e poi con l’Under 17 – Milan sconfitto 5-3 ai calci di rigore a Frosinone -, per una doppietta storica. Per la felicità del presidente Urbano Cairo, che lo ha ringraziato pubblicamente al termine della partita dei più piccoli, sottolineando come il doppio successo sia “la testimonianza di un lavoro fatto in profondità nel settore giovanile”.
Ludergnani, avete vinto due scudetti giovanili nella stessa stagione. Se dovesse scegliere l’ingrediente base, quale sarebbe?
“Riprendo una parola che ho usato la sera dello scudetto Under 18: programmazione. Certo, ci vuole fortuna, gli episodi devono girare bene. Ma questi sono i primi due gruppi che ho ereditato in Under 14 e Under 15 nel 2021, quando sono arrivato al Torino. Abbiamo plasmato inserimenti, metodologia, mentalità. Siamo passati attraverso delle delusioni: ricordo bene cosa facemmo nei derby con i 2008 in Under 15, le facce che c’erano, i momenti di difficoltà che abbiamo vissuto. Non so dire come si fa a vincere, ma di sicuro c’è stata una programmazione”.

Il presidente Cairo ha ringraziato lei e Davide Vagnati, che l’ha portata a Torino. Vi siete sentiti?
“Ci siamo sentiti, ci siamo scambiati dei messaggi. Ci eravamo già visti lunedì per condividere la programmazione della prossima stagione, gli avevo portato la coppa dell’Under 18, ora ci rivedremo e gli porterò pure quella dell’Under 17. Non posso fare altro che ringraziarlo. Tra tante difficoltà che si possono avere, mi ha fatto lavorare portando avanti le mie idee. Rispettando ovviamente i budget che una società giustamente ti pone, ma mi ha sempre fatto fare le scelte che volevo, e per chi fa il dirigente, nel mio caso il responsabile del settore giovanile, avere autonomia nel proprio lavoro è un grosso vantaggio. Magari non tutte le strategie che abbiamo fatto si sono rivelate giuste, ma l’autonomia è la cosa più importante che ho trovato”.
Quante persone ci stanno dietro a un successo del genere?
“Da quando ho iniziato a fare questo lavoro ho sempre detto che nel settore giovanile, il responsabile da solo non può fare nulla, talmente è corposo il movimento che c’è dietro. Partendo dai miei più stretti collaboratori, il responsabile scouting Davide Caprari, la segreteria, i tutor, il responsabile organizzativo, il tutor scolastico, gli autisti, i magazzinieri, ogni singolo staff, all’area medica, ci sono tantissime persone dentro a un settore giovanile. E’ una missione, ci sono tante persone da tenere insieme e tante situazioni da gestire. Da solo non posso fare nulla, senza il loro aiuto e la loro vicinanza. Ho il mio carattere, ci sono tante preoccupazioni e io stesso a volte sono intrattabile. Avere a fianco qualcuno che ti ascolta e ti aiuta è fondamentale”.
Quale dei due titoli l’ha sorpresa di più?
“Il secondo, anche perché dopo aver vinto con Under 18 la doppietta mi sembrava impossibile, se non altro per un discorso statistico. Si tratta di due campionati diversi, con regole diverse, ma in entrambi sono stati fatti percorsi incredibili. In tutta la stagione l’Under 17 ha perso solo due volte, sempre contro il Cesena. Poi non è più successo, nemmeno ai playoff. Secondo me è un dato molto significativo. Diciamo che il primo scudetto ha avuto un fascino particolare, dopo quattro anni tanti se lo aspettavano e ci eravamo sempre andati vicino. Il secondo però mi ha sorpreso di più”.
Quando si vince ai rigori c’è sempre un po’ di fortuna. L’Under 17 però ha mostrato anche tenacia e freddezza.
“Sono state una costante, dai quarti in poi. Con l’Inter abbiamo sofferto tanto, all’andata l’abbiamo ribaltata negli ultimi 5 minuti, a Milano abbiamo sofferto per mezz’ora, siamo andati sotto, poi abbiamo rimontato e nel finale abbiamo vissuto sei minuti di apnea. Anche l’Udinese in semifinale meritava, ma anche contro di loro non abbiamo mollato. La finale è stato l’emblema, a un certo punto il Milan è rimasto in 10, ci ha messo in difficoltà ancora eppure ne siamo venuti fuori. Solidità mentale e freddezza appartengono a questi ragazzi e allo staff. Le hanno dentro”.
Cinque rigori tirati in modo impeccabile, Luongo ha persino chiuso con il cucchiaio. Cereser, così come Anino nell’Under 18, ha dimostrato di essere un portiere molto maturo.
“Diciamo che Luongo ci ha anche fatto soffrire, con quella scelta. Come ha detto il mister, ci aspettavamo che facesse quel gesto, ma tra dire e fare… Grande gesto di personalità, ma anche di sofferenza per noi. Quello sui portieri, così come sugli altri giocatori, è un lavoro che parte da lontano, sulla mentalità dei gruppi e del singolo ragazzo. Si cerca di non tralasciare nulla. Io ho cercato di portare professionalità, di fare in modo che non ci si senta inferiori a nessuno, soprattutto nei momenti difficili. “Nessun complesso di inferiorità, siamo il Torino” ho detto agli Under 16. Anino e Cereser sono passati attraverso delle delusioni, ed è una cosa vera che le sconfitte aiutano a capire dove si è sbagliato e dove migliorare”.
Come siete arrivati a David Reynheim, delle Isole Far Oer?
“Fa parte del lavoro di un gruppo di scouting che voglio ringraziare. Abbiamo tutti i nostri contatti, vediamo video. Ci era arrivata una segnalazione, sapevamo che questo ragazzo aveva già fatto la Conference League con il suo club. Abbiamo visto che ci si può lavorare. Siamo arrivati a lui attraverso questo grande lavoro di gruppo”.
Molti arrivano dalla scuola calcio del Torino.
“Serve un mix di cose. Serve una base locale importante, essere attenti al mercato locale, regionale, nazionale, europeo. Cantarella era stato da noi, l’anno scorso faceva l’under 16 all’Ascaris, siamo andati a riprenderlo. Bonacina è sempre stato da noi, Bianchi è arrivato dall’Under 15. Tanti percorsi diversi”.
Che valore può avere l’apertura del centro sportivo Robaldo?
“Sarà un impulso fondamentale. Da due anni, con il presidente Cairo, abbiamo lavorato su Orbassano in modo da far lavorare insieme i Primavera, gli Under 18 e gli Under 17. Questo è già stato salto di qualità, lo dimostrano i due scudetti così come la crescita di chi è arrivato in Prima squadra dalla Primavera. Robaldo darà l’impulso a un movimento che già sta crescendo”.
La Primavera ha avuto qualche difficoltà in più.
“Nel campionato Primavera vincere è difficilissimo. Non va dato per scontato che sia tutto facile, ci sono dinamiche che possono condizionare il rendimento, noi quest’anno abbiamo dato tanti alla prima squadra e questo è un valore. E’ vero che dalla Primavera ci aspettavamo di più, ma non è stato torneo deludente, non è giusto dirlo se si prende in considerazione il livello del torneo. Abbiamo vissuto un cambio di allenatore che non avrei mai voluto affrontare, ho chiesto scusa a Tufano ma credo che quella fosse la cosa da fare”.
Da Cacciamani a Perciun, da Dellavalle a Gabellini, da Silva a Dembélé, tanti hanno esordito in A o in prestito in club professionistici. Crede che ce ne potranno essere molti anche nella prossima stagione?
“Aggiungo Alieu Njie, che nel suo momento di massimo rendimento con la prima squadra si è fermato per infortunio. Tanti hanno lavorato con la prima squadra, hanno assaggiato la Serie A. Dobbiamo dare a tutti il tempo necessario per affacciarsi al calcio dei grandi. Non faccio nomi, posso solo dire che il materiale c’è. Poi è compito del direttore dell’area tecnica Davide Vagnati e dello staff della prima squadra valutare chi è pronto, chi può andare in prestito, chi deve fare degli altri passaggi”.

Possiamo dire che l’esplosione di Gineitis è il simbolo del suo lavoro?
“Gineitis è un esempio di come lavoriamo. Ma non dobbiamo fermarci a lui, vogliamo che ce ne siano di più. E vogliamo che il settore giovanile del Torino sia sentito come una famiglia in cui si può appoggiare il proprio ragazzo, e avvicinarsi al calcio dei grandi. Gineitis, Njie, Perciun, sono ragazzi che devono essere di impulso per tutto il movimento, come gli scudetti. C’è un lavoro dietro. Ho sempre parlato poco, perché per me contano i fatti. Ora sono sotto gli occhi di tutti. Spero che la gente abbia capito come siamo fatti e come si lavora al Torino”.
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