Scaricata dagli allenatori, snobbata dai giocatori, l’Italia è alla ricerca di una guida che le voglia bene davvero: Rino Gattuso
Cara Gazzetta dello Sport, sono la Nazionale di calcio, scrivo a te perché siamo sorelle. Quando sono nata, nel 1910, nella tua Milano, tu eri una ragazzina di 14 anni e mi hai voluto subito bene. “Campioni del mondo!”, “Tutto vero!”. Ricordi? Mi vedi ora? La bella di Torriglia, tutti la vogliono e nessuno la piglia. Mancini mi ha scaricato a Ferragosto come un cane in autostrada, con una Pec notturna. Anche Ranieri ha messaggiato di notte il suo no. Il buio nasconde la vergogna. Pioli si è impegnato con un’altra. Un tempo sgomitavano per allenarmi, oggi dicono: “Esco a prendere le sigarette” e non li vedo più. Un velo pietoso sui dirigenti, sempre spiazzati… E i giocatori? Un tempo si spaccavano le ginocchia e rientravano nello stesso Mondiale. Oggi mandano il certificato medico a Coverciano: “Affaticamento”.
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Si può giocare come a Oslo e a Reggio? Senza cuore. Indegni della mia maglia e della mia storia. La verità? In Nazionale non si guadagna e oggi conta solo chi paga. Sono diventata un disturbo, nessuno riconosce più la mia sacralità, la stessa del tuo Giro d’Italia: riuniamo il Paese dei tanti campanili con un affetto unico che ci fa sentire nazione. Cara Gazzetta, io non pretendo un Guardiola, mi basta un bravo mister, una bella persona che mi voglia bene e insegni a volermene. Come Rino, che nel 2006 era infortunato, ma minacciò: “Se mi lasciate a casa dal Mondiale, mi lego al pullman come Fantozzi”. Ha sempre inzuppato la maglia d’orgoglio e di sudore. Con Gattuso ct, chi oserebbe giocare come a Oslo? Uno sposo così e tornerei felice. Fallo sapere in giro, cara sorella.