Sei vittorie consecutive in 36 giorni, da Torino a Roma: i nerazzurri hanno cambiato passo e mentalità. Il tecnico ha conquistato il gruppo con una gestione coraggiosa: alternanza e valorizzazione di tutti.
Certi abbracci sono così forti da poterti rompere: invece ti saldano. Parafrasando un anonimo aforista si possono visualizzare gli attimi successivi alla fine di Roma-Inter: il circolo dei giocatori, guidato da Barella che poco prima aveva sbuffato per la sostituzione, corre a cercare Cristian Chivu per certificare l’inizio di un amore. Tutti insieme a festeggiare la sesta vittoria consecutiva tra A e Champions, la più importante perché vale un balzo in classifica. Il patto tra allenatore e squadra, in verità, era stato siglato dopo la sconfitta in casa della Juventus, quando Chivu alzò la voce conquistando anche i leader del gruppo per personalità e competenza. Ma all’Olimpico il rapporto professionale, disciplinato dai doveri di riverenza, è diventato una relazione complice, tra persone che parlano la stessa lingua e percepiscono le stesse emozioni. Da Torino a Roma, pensate, sono passati appena 36 giorni.
nuovo corso
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Non è una nuova pagina dell’Inter, è proprio un nuovo libro che racconta una storia diversa. Neanche Chivu avrebbe immaginato di poter trasmettere così velocemente la sua mentalità, riscuotendo già i dividendi: «Sono fiero dei miei ragazzi» ha detto sabato, riferendosi in particolar modo ai “vecchi” dello spogliatoio. Il blocco storico del quadriennio Inzaghi era rimasto traumatizzato dalla finale di Champions. Ma soprattutto era arrivato scarico ai momenti decisivi della stagione, come se desse per scontato di poter vincere le partite in nome di un’acquisita superiorità. L’espressione «Siamo ingiocabili» di Mkhitaryan, più o meno consapevolmente, rappresentava un’idea di compiutezza che la squadra aveva interiorizzato. Solo che la presunzione nello sport si paga. E così l’Inter ha buttato via tutto in poche settimane.
Redivivi
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È presto per affermare che gli antichi errori non si ripeteranno: il narcisismo è sensibile alle recidive. Ma l’intervento psicologico di Chivu ha fruttato già una rinnovata ambizione. Non solo perché «passiamo il pallone più velocemente agli attaccanti», come ha spiegato con candore Sommer. Non solo perché Bonny ha segnato due gol nelle prime due da titolare, rendendo ininfluente l’assenza di Thuram. Non solo perché Akanji ha trasferito sicurezza a una difesa che ha incassato soltanto 2 gol nelle ultime 6 partite. Ma anche e soprattutto perché la squadra ha ritrovato l’energia e lo spirito che servono per sprigionare il proprio potenziale. I tre azzurri Barella, Di Marco e Bastoni sembrano trasformati, Mkhitaryan sta giocando meno ma meglio, Lautaro è una sentenza se sta bene fisicamente, Dumfries sta crescendo di condizione. A Chivu manca forse solo il miglior Calhanoglu, che comunque a sprazzi ha già dimostrato di aver rimesso la testa sull’Inter.
Alternanza
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E poi la Chivucrazia funziona perché è credibile nella valorizzazione del materiale umano. Nelle prime otto partite, si erano alternati addirittura 22 titolari: a parte Darmian, spesso acciaccato, Diouf, che è l’ultimo arrivato e ancora non gira ai ritmi richiesti, e Palacios che è quasi un esubero, tutti hanno usufruito di una vera possibilità. Quando gli domandano del rendimento dei singoli più celebrati, Chivu risponde che il rendimento in partita dipende anche da Bisseck o da Carlos Augusto che alzano i gradi della concorrenza interna. Il sistema, se continuerà ad essere accettato come efficiente, porterà grandi vantaggi in primavera, quando verrà lanciata la volata per gli obiettivi stagionali: i titolari avranno ancora benzina e motivazioni da spendere, nella speranza di abbracciare forte Chivu anche al traguardo.
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