Motta non è più al sicuro: il club rischia ancora una volta di ricominciare daccapo
Un lustro senza lustro: gli ultimi cinque anni saranno archiviati dalla Juve con il timbro “zero scudetti”. I campionati a stecchetto arrivano dopo il periodo di tirannia bianconera in Italia, con i nove titoli di fila. Il digiuno dopo l’abbuffata: non è la prima volta che accade alla Signora. Nel Dopoguerra, basta ricordare le carestie senza tricolori dal 1986 al 1995 e dal 2003 al 2012: i precedenti esistono, però non possono funzionare come consolazione. Con Thiago Motta in panchina, sono arrivate a stretto giro le eliminazioni in Champions League con il Psv e in Coppa Italia con l’Empoli, non proprio due corazzate. Poi la disfatta con l’Atalanta in campionato. Il termine “annata fallimentare” può sembrare cattivello, ma soltanto per il fatto che la Juve adesso in A occupa il quarto posto. A Motta non si chiedeva la conquista dello scudetto a tutti i costi, anche se gli è stato consegnato un organico rinforzato con Koopmeiners, costato 51,3 milioni, Douglas Luiz, 50, e Nico Gonzalez, 33.
mercato
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I tre colpi finora hanno deluso, non soltanto se si considerano i loro prezzi d’acquisto, ma in termini assoluti. Non banali nemmeno gli investimenti da doppia cifra su Khephren Thuram (20 milioni), Di Gregorio (18), Cabal (11), più gli innesti invernali Kelly (17,5) e Alberto Costa (12,5). Una campagna che per ora ha prodotto un quarto posto a 52 punti, nemmeno tanto blindato, con la Lazio a quota 51 e il Bologna a 50. Motta avrebbe tra le attenuanti il ko a inizio stagione del totem Bremer, ma fa bene a non citarlo. Il quinquennio di latta sta per concludersi, Thiago vacilla: è probabile che per restare non gli basti nemmeno il pass per la Champions. Rispuntano inesorabili i candidati alla successione: stavolta la rosa è formata da Gasperini, Conte e Pioli. Il tratto comune è che sono tutti, in epoche diverse, ex bianconeri. Si tornerebbe sul luogo del misfatto: altro cambio di guida tecnica.

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L’importante è che la società segua una linea meno ondivaga: dal 2020 si è passati da scelte molto diverse l’una dall’altra, con strappi in avanti e repentine retromarce. Sarri è andato in dissolvenza dopo aver vinto lo strano torneo del lockdown. Con Pirlo, la Juve ha seguito la moda dominante in altri club europei: il lancio dei giovani di belle speranze. Un esperimento senza troppa convinzione, durato una sola tornata. La restaurazione con Allegri puntava a ottenere subito risultati: garantiva Max. Ma i ritorni spesso si rivelano operazioni a rischio, anche per i più bravi. L’investitura di Motta incorpora l’intenzione di proporre un calcio diverso, con la prospettiva di aprire un ciclo. Le risposte dal campo però non sono incoraggianti per il futuro e il progetto traballa. Finora la Juve è un’incompiuta che, dopo 29 giornate di A, ha ancora bisogno di trovare una solida base. Fossilizzarsi su ruoli e schemi fissi può essere arcaico, ma allo stesso tempo ancora oggi si fatica a scandire una formazione-base bianconera. Motta deve portare a casa il minimo sindacale, poi si vedrà se ripartirà la rumba sull’allenatore del 2025-26. Bisognerà avere le idee chiare già a fine maggio, perché poi ci sarà da onorare l’impegno del primo Mondiale per club. La Juve in America affronterà nel girone il City, già battuto in Coppa, i marocchini del Wydad e gli emiratini dell’Al Ain: chiunque ci sarà in panchina, non qualificarsi per gli ottavi sarebbe uno smacco. Perciò non c’è soltanto Motta sulla graticola, ma tutti i big. Gli ulteriori esami estivi serviranno a capire su chi puntare, giusto per evitare alla Signora di allungare uno sconfortante e costoso digiuno.
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