L’ex tecnico del Perugia in tournée con un monologo sullo sport: “Mio papà era coppiano, il ciclismo la sua religione, un uomo controcorrente. Io adoro gli irregolari. Con Francesco perdo l’obiettività, fui il tecnico della Roma per una notte”
Qualcuno era comunista, per dirla con Giorgio Gaber. Antonio Cosmi, padre dell’allenatore Serse, lo era. Lo chiamavano Pajetta, da Gian Carlo Pajetta storico deputato del Pci: “Non c’entra soltanto il comunismo – racconta Serse Cosmi -, il soprannome di mio padre era dovuto anche al carattere duro, come quello di Pajetta. Papà era tosto, non aveva paura di niente e di nessuno, andava controcorrente”. Gestiva un negozio di alimentari e sulla sua moto, una specie di Ape modificata per le consegne, c’era la scritta ‘Solo Coppi temo’: “Papà era coppiano e il ciclismo era la sua religione laica”. Cosmi si chiama Serse in memoria del fratello di Fausto Coppi. Serse Coppi, ciclista a sua volta, morì per le conseguenze di una caduta in corsa, a Torino nel 1951. “Nell’Italia di Coppi e Bartali le divisioni sportive e politiche erano nette. Mio padre aveva percepito quel che Coppi rappresentava anche a livello sociale, le battaglie personali di Fausto (la separazione dalla moglie, la condanna per abbandono del tetto coniugale: il divorzio ancora non c’era, ndr) hanno contribuito a rendere più moderno il nostro Paese”.