Una squadra spossata rinvigorita solo dall’ingresso dei baby Carboni e Pio Esposito. Chivu dovrà lavorare molto per rifondare
Quando l’1-1 sembrava inevitabile, l’Inter in qualche modo, con un gol del giovane Valentin Carboni, ha battuto i giapponesi degli Urawa Red Diamonds e ha tenuto vive le speranze di qualificazione agli ottavi del Mondiale per club. Nel momento in cui scriviamo non conosciamo il risultato del River Plate contro il Monterrey, per cui non possiamo fare previsioni. Ci concediamo una domanda generica: quest’Inter sarà in grado di fermare il River? E chi lo sa. Nella prima partita l’Inter aveva pareggiato contro i messicani del Monterrey, tenuti su dalla grandezza di Sergio Ramos. Nella seconda, ieri a Seattle, è andata in svantaggio contro una volonterosa squadra giapponese, tutta corsa e difesa a oltranza, e ci ha messo una vita a ribaltare un risultato che sarebbe stato clamoroso. Lautaro, sempre lui, e Carboni hanno evitato un altro disastro epocale.
interismo
—
È stata una vittoria molto interista, strappata con le unghie, quando nessuno o quasi ci credeva più, ma la retorica sull’interismo non spiega il presente e non serve per inquadrare il futuro. Oggi l’Inter è spossata, forse più nella testa che nelle gambe, e il cambio di allenatore – un passaggio obbligato, dato che Simone Inzaghi se ne è andato – acuisce i problemi e le fatiche. Si capisce come Cristian Chivu ricerchi qualcosa di diverso, più aggressività e verticalità, ma è dura cambiare la postura di una squadra, servono tempo e pazienza. L’Inter è stremata da una stagione infinita, chiusa dall’umiliazione di Monaco di Baviera. Aveva bisogno di staccare, ma è stata catapultata dall’altra parte del mondo a giocare un torneo dispendioso, contro avversari sconosciuti: prima il Monterrey, ieri gli Urawa Red Diamonds. La spremitura estrema di una squadra “anziana”, e non è casuale che il ribaltone abbia preso forma con due ragazzi in campo, Valentin Carboni e Pio Esposito. L’Inter ha bisogno di energia e di futuro. Non sappiamo che cosa abbia in mente Chivu, quale sia la sua meta di gioco, ma la strada dell’azzeramento e della rifondazione ci pare inevitabile. L’era Inzaghi è finita, restano le scorie, per esempio la tentazione del palleggio fine a se stesso, il pallone che a un certo punto ritorna indietro dalle parti di Sommer, con gli avversari a pressare come avvoltoi.
Guarda tutte le 63 partite del Mondiale per Club FIFA solo su DAZN
dal mercato…
—
Le prime mosse di mercato non sembrano incoraggianti. Ieri Luis Henrique, uno dei nuovi acquisti, costato circa 25 milioni, non quattro lupini, è partito tra i titolari, è rimasto in campo per 85 minuti e ha deluso per quello che non ha fatto. Luis Henrique è stato preso per dribblare, verbo sconosciuto nell’Inter delle ultime stagioni, squadra imbottita di giocatori incapaci di saltare l’uomo. A Seattle, il brasiliano ex Marsiglia fuggiva dal dribbling, ricevuta la palla si affrettava ad appoggiarla come se scottasse. Forse è la timidezza dei primi passi in un mondo nuovo, non è facile capire dove si è capitati, meglio procedere per gradi e non rischiare, però qualcuno lo incoraggi a provarci, gli spieghi che è stato ingaggiato per i dribbling. non per sbagliare passaggi come quello che nella ripresa ha regalato all’Urawa un contropiede autostradale. È probabile che Luis Henrique migliori e si riveli un ottimo esterno d’attacco, ma oggi ci sembra evidente come l’Inter abbia bisogno di rinforzi, almeno un paio di arrivi “pesanti”, e in questa categoria non rientra Bonny dal Parma. In caso contrario, sarà difficile mantenersi ai livelli delle ultime stagioni, specie se partirà Calhanoglu. Un momento delicato, di passaggio da un ciclo all’altro, e il tutto si consuma nel quadro di un Mondiale in cui le squadre europee fanno fatica, perché sono andate oltre la fine della stagione: dovrebbero essere in vacanza, a rigenerarsi, e sono costrette a remare in America. Ieri il Borussia Dortmund ha battuto soltanto per 4-3 i sudafricani del Mamelodi Sundowns, club di Pretoria: con tutto il rispetto, qualcosa non quadra, tra caldo americano e spossatezze europee. Vanno fortissime le brasiliane, con Flamengo e Botafogo a punteggio pieno. I corsi e ricorsi storici confermano la tendenza: il Mondiale del 1994, negli Usa, lo vinse il Brasile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA