Devastante in Germania e decisamente male con i Reds Devils, nell’ultima stagione al Chelsea. L’inglese non gioca in nazionale dal 2021, ma se tornasse ai livelli del Borussia potrebbe essere un’occasione
Il “razzo” se ne sta inquieto nell’hangar in attesa di uscir fuori a dispensar scintille. C’è stato un tempo in cui Jadon Sancho era diventato “SanShow”, ma anche “the rocket”, il razzo, perché quando ti puntava era inarrestabile. Matthaus lo definì il “giocatore perfetto”, Neymar “special talent”, per Ferguson “aveva un potenziale illimitato”. Negli ultimi tre anni è cresciuto poco. Da qui il dubbio amletico legato alle ultime stagioni: a 25 anni Sancho è ancora un top player? Se lo domandano i tifosi e se lo chiede anche all’Inter, che lo tiene lì in attesa di avere notizie dall’Atalanta per Lookman.
stella a dortmund
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Il contesto va analizzato. C’è un prima e un dopo Old Trafford nella storia di Jadon, il ragazzo di Londra cresciuto dribblando coetanei al parco di Kennington, a sud del Tamigi: “Giocare per strada significa non avere paura di nessuno. Puoi essere te stesso”. La chiave di volta per capire il suo calcio fatto di strappi, assoli e dribbling. Nel periodo che va dal 2018 al 2021 è stato uno dei migliori Under 21 del mondo. Una tesi confermata dai dati. Al di là dei dribbling – circa tre di media a partita per tutto il triennio -, ce n’è uno che ne spiega lo stile. Si chiama “progressive carries”, lo spazio in cui un giocatore porta la sfera in avanti, supera gli avversari e crea progressione di gioco. La media del Sancho versione 2019-20, l’annata con venti gol e venti assist, era di 5,3 PC a partita. Centotrentacinque totali. Meglio di lui solo Federico Chiesa e Ismaila Sarr del Rennes (tra gli Under 21). Il tutto unito a 68 passaggi chiave distribuiti in 32 partite – il terzo dietro Nkunku e Kulusevski – e una media di 0,3 assist attesi a gara. Davanti a lui solo Nkunku, Bruun Larsen e Mbappè. Il Sancho di Dortmund è stato questo. Uno spacca partite. Nessuno come lui. Un livello mai più raggiunto negli anni.
il buco nero united
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Manchester l’ha risucchiato in un vortice. Un buco nero di incomprensioni, partite sotto livello, pochi gol – solo 12 in 83 partite, di cui 51 da titolare – e cinguettii contro ten Hag. Nel 2023, prima di sfidare l’Arsenal, l’olandese lo escluse dai convocati perché “fuori condizione”. Jadon replicò sui social: “Non credete a tutto quello che leggete. Questa settimana in allenamento mi sono comportato bene. In realtà ci sono altri motivi. Per molto tempo sono stato il capro espiatorio. Si dicono cose false”. La contromossa di ten Hag fu “esigere disciplina”. Storie tese, controverse, legate anche al carattere dell’inglese, schivo e solitario. Legato alla famiglia. Uno che sul braccio ha un tatuaggio per il fratello, morto quando aveva 5 anni. Benedict McCarthy, ex vice di ten Hag, disse che a Manchester “nessuno sapeva nulla di lui. Spesso se ne andava a Londra”. Solo a Dortmund l’hanno capito. Sancho è tornato lì a gennaio 2024 e ha trascinato Terzic in finale di Champions. Contro il Psg giocò una partita da vecchio Jadon completato 13 dribbling. L’ultimo a riuscirci era stato Messi. Hans-Joachim Watzke, a.d. del Borussia, parlò così a proposito del suo carattere: “A volte arriva tardi all’allenamento, ma non ha problemi di disciplina. La palla è ancora la sua migliore amica”. Anche se l’ultima presenza con l’Inghilterra è del 2021.
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fiducia
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L’annata col Chelsea è stata positiva, ma lontana anni luce rispetto a quella di cinque anni fa. Cinque gol e dieci assist in 42 partite, di cui 26 da titolare. Ha vinto la Conference League segnando in finale contro il Betis, ma Maresca l’ha tagliato dai convocati per il Mondiale per Club. Ora è rientrato a Manchester ed è in attesa di sapere dove giocherà: Inter e Juve l’hanno puntato, ma nel frattempo ci si chiede se sia ancora un top player in grado di fare la differenza. I numeri degli ultimi anni impongono il “no”, ma c’è una parola che potrebbe sciogliere il nodo gordiano: fiducia. Sancho ha sempre fatto bene in contesti dov’era la star. Il giocatore più importante. Il golden boy. A 17 anni ha lasciato il City di Guardiola perché non l’avevano messo al centro del progetto. A 24 è tornato a Dortmund perché ten Hag gli aveva messo il borsone accanto alla porta. Ora “il razzo” cerca un’altra chance, ma non da comparsa. Dategli fiducia e decollerà.
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