Inter, intervista a Emre: il 5 maggio, Moratti, la Turchia e i Mondiali

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L’ex centrocampista dell’Inter: “Non è vero che all’intervallo pensavamo di aver già vinto lo scudetto. Che impresa il terzo posto al Mondiale, quando ho comprato casa ai miei genitori mi sono sentito uomo”

Matteo Nava

Giornalista

È stato il Maradona del Bosforo (“ma con Diego, un regalo al mondo del calcio, non c’entro nulla”), ha pianto per il 5 maggio 2002, ha vinto due coppe, è arrivato terzo a un Mondiale, è stato capitano e simbolo della Turchia e di Istanbul. Oggi Emre Belozoglu allena nel campionato turco, all’Antalyaspor: “Ci sono stati alti e bassi, ma sto imparando e non mollo. Voglio diventare uno dei migliori in Turchia e poi andare in un campionato top. Da giocatore non sognavo di giocare in nessun club, ma ora sogno di allenare un giorno l’Inter, oppure il Newcastle o l’Atletico Madrid. Voglio migliorarmi ogni giorno, studio altri allenatori e guardo moltissime partite, questa vita mi piace molto. Sento che sono sulla strada giusta“.

Dopo due anni l’Inter è ancora in finale di Champions League: sensazioni?
“L’Inter è la mia seconda casa, con Simone Inzaghi è migliorata sempre più. La scorsa stagione non era andata bene, con l’eliminazione agli ottavi, invece quest’anno ha disputato un’ottima stagione in tutte le competizioni. Però credo che quest’anno riuscirà a vincere, lo spero da tifoso e perché sarò a Monaco di Baviera, commenterò la partita per una televisione turca”.

Cosa rappresenta Hakan Calhanoglu per la Turchia?
“Ci sono milioni di persone di origini turche in Germania, che come lui amano moltissimo il nostro Paese e la nostra nazionale. Quando è in campo, quindi, la gente sente che lui è uno di noi. È un idolo per tutti. Lo conosco molto bene anche personalmente e lo ritengo uno dei migliori giocatori della Serie A e uno dei migliori centrocampisti d’Europa. Hakan lavora benissimo da anni”.

L’ha conosciuto in nazionale?
“Sì, arrivò quando ero capitano. Era molto giovane, ma talentuosissimo: si capiva subito che aveva qualcosa di speciale, si prendeva dei rischi da giocatore di grande personalità”.

Nel 2023 ha dovuto giocare la finale da mezzala, questa volta sarà in regia: cosa cambia per l’Inter?
“Lui è una sorta di allenatore in campo: legge il gioco in modo eccellente, è il braccio destro del tecnico. Con Inzaghi la sua posizione davanti ai tre difensori è perfetta, anche se non sembra super aggressivo. Con tutto il rispetto per gli altri, l’Inter è più speciale con lui in regia: detta i cambi di ritmo e aggiunge qualità nel gioco. È uno dei migliori nerazzurri degli ultimi 20 anni”.

Quali sono i migliori ricordi che ha degli anni a Milano?
“Ho tanti ricordi belli, in quella squadra c’erano tantissimi grandi giocatori e molti leader. Poter lavorare con idoli come Ronaldo e Zanetti è stata una vera fortuna. Abbiamo lottato ogni anno fino alla fine in una Serie A con squadre fortissime: Juventus, Milan, Roma, Lazio… In quegli anni era come la Nba! Abbiamo vinto soltanto una Coppa Italia, ma ho incontrato persone splendide, affrontato grandi squadre e sperimentato un tifo incredibile”.

Ha mai pensato ai traguardi che avrebbe potuto raggiungere all’Inter, senza tutti quegli infortuni?
“Mi sentivo forte, pensavo di essere in grado di risolvere qualsiasi problema in campo, ero anche un po’ sfacciato visto che non ero malaccio… Poi però sono arrivati i problemi fisici e quando sono rimasto lontano dal campo non sono riuscito a gestire le mie reazioni emotive, spingevo soltanto per tornare in campo e senza affrontare le difficoltà faccia a faccia, non ero abbastanza maturo. Negli anni successivi mi sono sposato, ho messo davvero il calcio al centro della vita – una vita da vero professionista – e ho giocato fino a 40 anni. Se avessi avuto questa testa ai tempi dell’Inter, avrei scritto un altro finale a quella storia”.

Che rapporto aveva con Massimo Moratti?
“Non ho mai conosciuto un presidente come lui, autorevole ma mai aggressivo o autoritario. Era un vero gentiluomo e lo si percepiva negli spogliatoi come in società, un padre di famiglia. Ci vediamo ancora quando vengo a Milano”.

Come aveva saputo dell’interesse dell’Inter?
“Moratti venne a Istanbul un paio di mesi prima della fine del mio contratto con il Galatasaray e mi disse che voleva ingaggiarmi, c’era anche Facchetti. Poi sono stato per la prima volta a Milano, un’emozione incredibile per me: il giorno della firma ero scioccato per la quantità di giornalisti presenti in sala stampa”.

Moratti un gentiluomo, era come un padre di famiglia

Emre Belozoglu

INTER VS VALENCIA Inter Milan's Emre (R) shout on face of  David Albelda  of Valencia during their Champions League quarter-final first leg match at the San Siro stadium in Milan April 9, 2003. Inter Milan beat Valencia 1-0.       REUTERS/Stefano Rellandini

Nel 2004 Pelé l’aveva inserito nei migliori 125 calciatori viventi: cosa si prova di fronte a un’investitura simile?
“Eh (sorride, ndr), da una parte mi aspettavo qualche riconoscimento dopo la mia stagione migliore, nel 2003, e dopo il terzo posto al Mondiale in Giappone e Corea del Sud. Quindi non posso dire di essere rimasto scioccato a leggere il mio nome tra quelli di Pelé, ma sicuramente mi fece un enorme piacere. Poi a volte la vita sa essere sfortunata e sono arrivati tutti quegli infortuni… Però, ecco, me lo sono meritato”.

A proposito di sfortuna: se le dico 5 maggio 2002?
“La Lazio… Uno shock totale. Non ce lo aspettavamo perché eravamo fortissimi, motivati, nello spogliatoio eravamo tutti concentrati al massimo. A fine partita, invece, le lacrime: potevamo solo rincuorarci l’un l’altro, nel giorno più triste di tutti. Puoi costruire una bella squadra e lottare, ma a volte non puoi controllare il destino. Non è vero che all’intervallo qualcuno pensava di aver già vinto, eravamo tutti concentratissimi, lo ricordo benissimo”.

brasile vs turchia emre bacia hasan sas *  Turkey's Hasan Sas, right, receives a kiss from teammate Emre Belozoglu after he scored the 1-0 for his team during the Brazil versus Turkey, Group C, 2002 World Cup soccer match at the Munsu Football  Stadium in Ulsan, South Korea, Monday June 3, 2002. The other teams in Group C are China and Costa Rica. (AP Photo/Herbert Knosowski)

Ha citato il terzo posto al Mondiale del 2002: com’è stato viverlo da promessa di 21 anni?
​”Probabilmente la Turchia più forte di sempre: grandi giocatori, personalità importanti, leader, giovani talenti. Le vincemmo tutte tranne contro un Brasile di fenomeni, ma ce l’eravamo giocata anche con loro. Uno dei momenti migliori della carriera, tornammo in Turchia con due milioni di persone ad aspettarci in strada”.

E tutta questa passione, quando è diventato capitano del Fenerbahce dopo i dieci anni al Galatasaray?
“(Ride, ndr) La mia scelta è stata rispettata, anche se italiani e turchi sono simili in questo. Prima del Fenerbahce sentivo di essere amato dalle persone, ero stato un titolare del Galatasaray ed ero capitano della Turchia. Dopo il passaggio al Fenerbahce nessuno mi ha mai insultato per strada, però… per la prima volta ho percepito di non essere più apprezzato come prima. Ho imparato a gestire questa cosa: una è la squadra in cui ho cominciato e grazie alla quale sono arrivato in nazionale e poi nei top campionati europei, dell’altra sono diventato capitano e ho giocato fino a 40 anni”.

Il Galatasaray ha vinto due trofei europei nella sua storia: una Coppa Uefa e una Supercoppa Europea. Entrambi in quel magico 2000.
“Quanto lottavamo! C’erano individualità e c’era qualità, ma soprattutto eravamo i migliori al mondo a lavorare di squadra, vincevamo per quello, meritatamente. Non batti il Real Madrid di Figo, Roberto Carlos e Raul o l’Arsenal di Henry, Vieira e Wenger se non combatti: ci fidavamo l’uno dell’altro senza mai mollare. Anche se solo negli anni successivi realizzi davvero cos’hai fatto”.

Galatasaray's Gheorghe Hagi celebrates scoring a penalty against Leeds United during the UEFA Cup semi-final second leg at Leeds Elland Road ground Leeds, Thursday April 20, 2000. (AP Photo)

Certo, l’accoglienza di Istanbul qualche indizio l’avrà pur dato…
“Fu qualcosa di incredibile. Al ritorno dalla finale di Coppa Uefa la città era invasa da tifosi, moltissimi in lacrime, un assedio al pullman della squadra. Scene riviste soltanto per la successiva Supercoppa e per il Mondiale”.

Il compagno più forte mai avuto?
“Per qualità sicuramente Ronaldo il fenomeno, anche Zanetti era davvero forte. E ho giocato con molti potenziali fuoriclasse, come Recoba”.

Il più divertente?
​”Facilissimo, Diego Costa! Esilarante, mai visto uno come lui. Un grande giocatore, ma davvero spontaneo e divertente fuori dal campo. Faceva scherzi, ballava continuamente, compariva mezzo nudo. A Milano, invece, Bobo Vieri”.

Ma chi era Emre prima del professionismo?
“Mia madre era sempre a casa, mio padre lavorava in Anatolia e tornava solo nel fine settimana per vederci. Economicamente non andava benissimo, diciamo. Ho cominciato a giocare per strada: il talento si vedeva, in tanti mi dicevano di provare a entrare in una squadra. Ho guadagnato i primi soldi a 14 anni, poi ho comprato una casa ai miei genitori e ho sentito di essere diventato uomo, quindi ho capito che volevo fare questo di lavoro. Poi cominci a sentirti speciale, vieni riconosciuto per strada. Adesso per me è normale, ma a 16-17 anni sei ancora un bambino ed è qualcosa di nuovo. Però non sono mai cambiato, né con i soldi né con la fama, sono sempre lo stesso ragazzo di famiglia di prima. In Turchia i calciatori sono speciali, a volte non puoi nemmeno camminare per strada e, quando vivi questo, capisci di esser fortunato”.



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