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Il nuovo Bernabeu del Real Madrid sarà lo stadio più hi-tech mondo – Focus

September 21, 2023 | by allcalcio.it

Il Real Madrid, la squadra di calcio più vincente della storia, potrà presto fregiarsi anche del titolo di club con lo stadio più moderno del pianeta. Il vecchio Estadio Santiago Bernabeu, inaugurato nel 1947 e profondamente ristrutturato già un paio di volte nel 1982 e nel 2001, si sta sottoponendo dal 2019 a un terzo, radicale e avveniristico restyling, il cui risultato è stato svelato in un video pubblicato sui canali ufficiali dei Blancos. I lavori sono quasi ultimati e la data d’inaugurazione è fissata per il 23 dicembre 2023, quando andrà in scena uno show che non avrà nulla da invidiare a quelli offerti dagli sport professionistici americani – e che, tra l’altro, potranno essere ospitati nel nuovo impianto polifunzionale.
Garage sotterraneo. In effetti, questa quarta versione del Bernabeu non legherà la sua storia solamente al calcio, ma anche al basket, al tennis e al football americano, grazie alla versatilità delle soluzioni trovate dai progettisti dello studio tedesco GMP Architekten e dagli spagnoli di L35 e di Ribas y Ribas Arquitectos. Lo stadio sarà aperto sette giorni su sette e secondo e, secondo i calcoli della proprietà, dovrebbe rendere circa 360 milioni di euro l’anno. La novità più sorprendente riguarda il campo di gioco, scomponibile in sei lunghe strisce retrattili, che possono scivolare in poche ore all’interno dei sei livelli di un garage sotterraneo, dotati peraltro di sistemi di irrigazione e di illuminazione artificiale. Il tutto servirà a preservare il manto erboso nel caso di concerti e altri eventi, le cui strutture potranno essere ospitate da una superficie più omogenea e meno deteriorabile.
Schermi a 360°. Guardando l’esterno, invece, rispetto al vecchio stadio, la prima cosa che si nota è l’involucro, completamente ridisegnato secondo sinuose linee argentate che avvolgono le tribune e lasciano filtrare la luce diventando concentriche nella parte superiore, che è predisposta a contenere il nuovo tetto scorrevole. Sarà infatti possibile passare dalla modalità “aperto” a quella “coperto” in appena un quarto d’ora. E non finisce qui. Lo stadio madrileno manderà in pensione anche le vecchie tipologie di maxischermi, sia grazie a quelli interni, rotanti a 360° gradi, sia a quello gigante che sarà installato all’esterno, rivolto verso Paseo de la Catellana, e che in alcune occasioni restituirà in tempo reale ciò che sta avvenendo all’interno, e permetterà di aumentare idealmente la già abbondante capienza di 80 mila spettatori.
 
🏟️🌱👀 ¡El césped retráctil del Bernabéu como nunca lo habías visto!#RealFootball pic.twitter.com/r2TkzsiNPv
La Juventus e la biancheria Vale anche per chi non è appassionato di calcio: dici Juventus e pensi subito alle strisce bianconere. Eppure la divisa originale (1897) era ben diversa. Le prime casacche erano rosa, perché per realizzarle fu impiegato il tessuto rimasto nel magazzino del padre di uno dei fondatori della squadra, che commerciava biancheria femminile. E forse per dare un tono più “maschile” al tutto, fu aggiunto un cravattino nero. Nel 1903, per rinnovare il look, si chiese aiuto a un socio inglese del club, residente a Nottingham: questi inviò una partita di maglie della locale squadra del Notts County e da allora le due squadre hanno divise uguali. Il rosa, invece, è rimasto come colore dominante per la maglia di riserva, ma solo in alcune stagioni.
Foto: © Archivio Focus
L’Inter e la matita Il 9 marzo 1908 un gruppo di soci del Milan decide di abbandonare il sodalizio e di fondare una nuova squadra, il Football Club Internazionale Milano: l’Inter. La scelta dei colori fu affidata a uno dei transfughi, Giorgio Muggiani, di mestiere illustratore e cartellonista. Questi, osservando una delle matite bicolori (metà rossa, metà blu) che erano sulla sua scrivania, decise che le maglie interiste sarebbero state… “contrarie” a quelle del Milan: così, al posto delle strisce rosse dei “cugini”, disegnò quelle azzurre. Che insieme a quelle nere, da allora, formano la divisa dell’Inter.
Foto: © Archivio Focus
Il Napoli e i Borbone Il club campano (fondato nel 1926) è frutto della fusione di due squadre: l’Internazionale (nata nel 1911), che giocava con maglie azzurre in onore dei Borbone e degli Angioini, e il Naples (attivo fin dal 1903), per il quale i fondatori avevano scelto strisce di colore celeste e azzurro, come il cielo e il mare che si potevano ammirare guardando il Golfo. Nonostante proprio il Naples, per ragioni d’età, sia da considerare la vera antenata del Napoli, per la scelta dei colori sociali ha prevalso l’azzurro dell’Internazionale che da allora, ininterrottamente (salvo qualche variazione sulla tonalità e sui motivi decorativi), caratterizza le divise del club partenopeo.
Foto: © Archivio Focus
Il Milan, il fuoco e la paura “I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari”: così parlava la sera del 16 dicembre 1899 (il 13 secondo altre fonti), Herbert Kiplin, fondatore del Milan Cricket and Football Club, durante la presentazione della nascente squadra di calcio. La divisa prescelta, rimasta da allora inalterata o quasi, fu una camicia di seta a strisce con lo stemma di Milano sul petto. Quest’ultimo fu eliminato, negli Anni ’40, e poi reintrodotto: una prima volta nel 1999 per il centenario del club, poi per un paio di stagioni a partire dal 2014. Successivamente lo stemma comunale è tornato in soffitta per lasciare spazio a quello del club.
Foto: © Archivio Focus
La stella Udinese. La prima maglia dell’Udinese, quando nel 1896 si chiamava Società Udinese di Ginnastica e Scherma, era completamente nera con una stella bianca sul petto, riprendendo i colori (bianco e nero, appunto) delle insegne comunali della città di Udine. Nel corso degli anni i colori sono rimasti inalterati, mentre in più occasioni è cambiata la partitura, alternando maglie con strisce verticali di varia larghezza ad altri modelli con una sola banda: nera in campo bianco oppure bianca in campo nero, in verticale oppure, come è attualmente (foto a destra), in diagonale.
Foto: © Archivio Focus
Il Torino e la brigata Savoia Nella prima partita della sua storia (dicembre 1906) il Torino sfoggiò la divisa a strisce nere e giallo oro del Football Club Torinese, la squadra con cui, qualche giorno prima, un gruppo di “separatisti” della Juventus aveva stretto un accordo per formare un nuovo club. I colori, che potevano ricordare gli Asburgo, nemici dei Savoia, furono abbandonati a favore del rosso granata che – secondo alcune fonti – fu scelto per ricordare la cravatta dei soldati di quella Brigata Savoia che, duecento anni prima (quando si chiamava ancora III Reggimento “Savoia Cavalleria”), aveva contribuito a liberare Torino dall’assedio franco-spagnolo. Secondo altre fonti il colore granata fu voluto da un dirigente di origine svizzera, per imitare la squadra elvetica del Servette.
Foto: © Archivio Focus
La Roma, l’oca e il bue La Roma nacque nel 1927 dalla fusione di tre squadre all’epoca già attive nella Capitale: Alba, Fortitudo e Roman Football Club. Proprio i colori di quest’ultima, tratti dallo stemma municipale, furono mantenuti per le divise della nuova squadra. Da allora la maglia restò pressoché invariata (con l’eccezione di un modello usato negli anni Ottanta, che aveva stravaganti fasce giallo-arancione sulle spalle) e solo la “definizione” dei colori, dopo la caduta del fascismo, fu riveduta: il rosso porpora e il giallo oro, che evocavano i fasti di Roma imperiale, cedettero il passo ai più bonari “giallo becco d’oca” e “rosso sangue di bue”.
Foto: © Archivio Focus
Il Genoa e l’Inghilterra È il 1893, un gruppo di inglesi trapiantati a Genova fonda la società sportiva Genoa Cricket and Athletic Club, che, qualche anno più tardi, inizia a praticare anche il football. All’inizio i giocatori usano le casacche bianche del team di cricket; poi, nel 1900, la prima “vera” maglia: a strisce bianche e azzurre, come quelle dello Sheffield Wednesday, tra i più importanti club dell’Inghilterra, culla del calcio. L’anno seguente, la scelta definitiva: dopo un referendum tra i soci, si adotta la maglia a quarti rosso granata e blu, forse per onorare i colori della bandiera britannica.
Foto: © Archivio Focus
La Lazio e la Grecia olimpica Prima ancora di dedicarsi anche al gioco del pallone, la Lazio era una “Società Podistica” (fondata nel 1900) i cui colori sociali, bianco e celeste, vennero scelti in omaggio alla bandiera della Grecia, Paese che appena 4 anni prima aveva ospitato la prima edizione delle Olimpiadi moderne. Nel 1901 nacque la squadra di calcio, che all’inizio adottò una semplice maglia bianca. La prima vera divisa arrivò l’anno dopo: una camicia di flanella a scacchi bianchi e celesti, cucita dai familiari degli stessi calciatori. Nel 1910 fu sostituita dalla tradizionale maglia celeste. A partire dagli anni Ottanta, e soltanto in alcune occasioni, la Lazio ha adottato la “maglia bandiera”, caratterizzata dal logo di un’aquila (simbolo della società).
Foto: © Archivio Focus
Il Bologna e il collegio svizzero Nei primi anni del ’900 un gruppo di giovani appassionati bolognesi si riuniva nella locale Piazza d’Armi per praticare il gioco del calcio, disciplina che contava già un discreto numero di seguaci. Uno di loro, tale Arrigo Gradi, si presentava agli allenamenti indossando la bella casacca rossa e blu della squadra di calcio dell’Istituto che qualche anno prima aveva frequentato in Svizzera, il collegio Wiget di Rorschach. La maglia piacque al punto che, quando nel 1909 Gradi e compagni fondarono il Bologna Football Club, per la divisa adottarono gli stessi colori.
Foto: © Archivio Focus
Sampdoria = Sampierdarenese + Andrea Doria Tra le squadre italiane nate da una fusione, la Sampdoria è quella che ha mantenuto più evidenti le tracce dei club “genitori”, Sampierdarenese e Andrea Doria. Nel nome, ma anche nella maglia, che dalla prima ha tratto il bianco e la fascia rossonera, mentre dalla seconda il blu e lo stemma di Genova con la croce di San Giorgio. L’originale divisa, da cui deriva il soprannome “blucerchiati” riservato a calciatori e tifosi del club, è stata eletta qualche anno fa “la più bella del mondo” in un sondaggio indetto dalla rivista Guerin Sportivo.
Foto: © Archivio Focus
Atalanta, niente bianco Non tutti sanno che il nome completo della squadra che oggi rappresenta la città di Bergamo è Atalanta Bergamasca, questo perché il team nacque nel 1920 dall’unione di due club: l’Atalanta (che usava una maglia a strisce bianche e nere) e la Bergamasca (divisa a strisce biancazzurre). Gli effetti della fusione non si limitarono al nome adottato dalla nuova squadra, ma si estesero in qualche modo anche ai colori sociali: dalle divise delle squadre “genitrici”, infatti, fu eliminato il bianco e si conservarono il nero (dell’una) e l’azzurro (dell’altra) per dare vita alla tradizionale divisa a strisce nere e azzurre che da allora contraddistingue l’Atalanta.
Foto: © Archivio Focus
La Fiorentina e il fascino ungherese Oggi i suoi tifosi la chiamano affettuosamente “la viola”, per via del colore della maglia. Eppure agli esordi (1926) la Fiorentina aveva una maglia bianca e rossa (col giglio comunale sul petto) per mantenere vivo il ricordo del Club Sportivo Firenze (che aveva divise rosse) e della Palestra Ginnastica Libertas (maglia bianca) dalla cui fusione la squadra toscana era nata. Questo fino a quando, nel 1928, si giocò una partita contro l’Uijpest di Budapest: il presidente Luigi Ridolfi, folgorato dal viola delle divise avversarie, decise che, da quel momento, anche la Fiorentina avrebbe usato quel colore per distinguersi dalle altre squadre. Dal 1928 la maglia della Fiorentina è rimasta pressoché uguale, a parte qualche variante sui dettagli, come polsini, colletto ecc., che talvolta sono bianchi.
Foto: © Archivio Focus
Tutte le altre. A determinare i “colori sociali” di un club non sono sempre il caso, l’origine geografica dei fondatori o il desiderio di distinguersi dai rivali. Molti dei club di Serie A, per i colori della divisa, fanno riferimento alle insegne municipali: è il caso del rossoblu del Cagliari e del Crotone, del gialloblu dell’Hellas Verona (in alto, seconda da sinistra) e del giallorosso del Benevento (da sinistra a destra, nella fila in alto). Le insegne comunali hanno ispirato anche il Parma (in basso a sinistra) che adotta una divisa bianca con una croce nera, simbolo presente anch’esso nello stemma cittadino (riservando i colori gialloblu dello stemma per la divisa di riserva). Il bianco dello Spezia, invece sarebbe un omaggio alle bianche casacche della Pro Vercelli, tra le squadre nobili del Campionato italiano negli anni in cui lo Spezia muoveva i primi passi. Nessuna notizia, infine, sul Sassuolo: sull’origine dei suoi colori (nero e verde) nemmeno i dirigenti sono in grado di fare luce.
Foto: © Archivio Focus
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