La Juve ha deciso di affidare al francese la nuova rivoluzione in società. Prima scout, poi ds, quindi direttore tecnico e presidente, lavora con gli algoritmi ma attorno ha costruito una struttura di saperi che vanno dai dati fisici al sonno. Una mente geniale che i campioni preferisce crearli piuttosto che comprarli, ma non sempre è andato bene
“Tutte le nostre decisioni calcistiche sono basate sui dati. Come reclutiamo allenatori e giocatori, come attacchiamo e difendiamo, come tiriamo, come crossiamo, come pressiamo, persino come ottimizziamo il nostro monte stipendi. I dati fanno parte della nostra cultura”. Che il suo approccio sia intransigente è un eufemismo. Per il dg in pectore della Juve, Damien Comolli, il calcio è matematica, studio delle statistiche e analisi. Un convincimento che gli ha permesso di ricoprire tutti i ruoli dall’allenatore (a poco più di 20 anni, al Monaco) allo scout, dal direttore sportivo al presidente, nell’ultima e più fortunata avventura al Tolosa. Ma nella sua carriera si trovano brillanti luci (le scoperte di Bale e Modric o le grandi plusvalenze realizzate) e altrettante oscure ombre (gli acquisti fallimentari di Pavlyuchenko al Tottenham e Andy Carrol al Liverpool o i rapporti burrascosi con allenatori e presidenti). E una domanda allora sorge spontanea: ma un approccio così rivoluzionario e radicale potrà funzionare nel calcio italiano e in un club assetato di vittorie come la Juventus?