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Il giallo del carabiniere morto dopo la partita di calcio. “Mai usato il … – Repubblica Roma

September 25, 2023 | by allcalcio.it

«È stato dichiarato che quel giorno era stato utilizzato un defibrillatore, ma questa circostanza è stata smentita dai medici del 118 e adesso anche da una perizia». È il risultato di un esame chiesto dalla procura ad alimentare quei sospetti che la famiglia di Eugenio Fasano nutre da quando il carabiniere è morto a margine di una partita di calcetto tra colleghi, giocata nei campetti dell’Antico Circolo del Tiro al Volo il 22 gennaio 2019.

Un dubbio che 13 mesi dopo la morte del trentanovenne è stato messo nero su bianco in una denuncia firmata dalla cognata, a cui si è poi aggregata anche la moglie della vittima: «l’infarto non sarebbe la causa prima della morte ma la conseguenza di altro evento», dicono.

La procura non concorda. E per due volte ha chiesto che il caso venga archiviato, spiegando che quel decesso è frutto di una tragica fatalità, che il cuore di un ragazzo allenato ha ceduto all’improvviso, che le 11 costole fratturate, l’arteria rotta, il polmone e lo sterno perforati sono frutto delle manovre effettuate nel tentativo di salvarlo. Ma per le due donne qualcosa non torna. Secondo loro negli atti è riportata «una sequenza non conforme agli eventi» e le forze dell’ordine «hanno sbagliato nell’identificare i medici intervenuti sul posto».

Una serie di ambiguità, quelle sollevate dai familiari, che sono state alimentate di giorno in giorno e hanno trovato linfa quando, per due volte, il gip ha respinto la richiesta di archiviazione rinviando gli atti in procura chiedendo nuove indagini: fare l’autopsia, sentire testimoni e svolgere analisi tecniche.

Una di queste è stata effettuata il 12 settembre scorso. Un perito ha analizzato due defibrillatori. Lo ha fatto perché nelle «sommarie informazioni di alcuni ufficiali di polizia giudiziaria si dice che è stato utilizzato il defibrillatore», dice l’avvocato Donato Santoro, che con la collega Ornella Troiano rappresenta i familiari in questa indagine senza indagati. Un testimone dice di aver “posizionato gli elettrodi sul torace del paziente” e di aver anche “somministrato una prima scarica” con un “defibrillatore”. Adesso però, urlano gli avvocati, «queste dichiarazioni non trovano riscontro nella perizia disposta dal pm ed effettuata lo scorso 12 settembre: non si evince che il defibrillatore sia stato utilizzato».
Anche nei ricordi del personale intervenuto quel giorno di gennaio non c’è traccia delle ventose del defibrillatore. Occorre indagare ancora: il pm ha chiesto una proroga delle indagini e la difesa non si è opposta, chiedendo che vengano anche analizzate le connessioni tra i telefoni dei presenti. Una cosa al momento è certa: a quattro anni dalla morte di un carabiniere, si attende ancora un verdetto che chiarisca definitivamente cosa sia accaduto.

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