I fratelli Vinante lasciano: ha chiuso dopo 42 anni l’Alexander, il ristorante con il cuore – Bolzano
October 21, 2024 | by allcalcio.it
BOLZANO. Li vedi e pensi: ma quanto si vogliono bene. Marco, Emanuela, Paola e Dolores Vinante. Un fratello e tre sorelle. Uniti come un pugno, hanno lavorato fianco a fianco per quarantadue anni, sabati, domeniche e festivi compresi. «Discussioni tante, litigi mai», dicono in coro. Quarant’anni in questa strada. Tra queste mura. Sempre insieme.È l’ultimo giorno nel loro ristorante, l’Alexander di via Aosta. Da ieri (domenica 20 ottobre) serrande chiuse.
«Chiudiamo. Dopo tanto lavoro, è arrivata l’ora della pensione». La parola “ristorante” è riduttiva, non rende l’idea di cosa è stato questo posto per il quartiere e per Bolzano. Basta vedere la processione continua di clienti che passano a salutare. Baci, brindisi, abbracci, risate, ricordi, lacrime. Tante lacrime. «Non dico che li conosciamo uno per uno – dice Paola Vinante – ma quasi. Vita, morte e miracoli. Così come loro conoscono noi…». Un rapporto fortissimo, cementato da centinaia e centinaia di cene, pranzi, caffè, ammazza-caffè, sambuche con e senza mosca, dessert, confidenze, gioie e anche lutti e dolori. La voce si spezza. «È stata un’avventura meravigliosa. Sacrifici? Sì, ma, fosse per me, domani ricomincerei daccapo…».
La testa va al primo gennaio 1983, «quando abbiamo aperto». L’Alexander era stato avviato qualche anno prima dal cugino Antonio Vinante. Che chiamò Emanuela a dargli una mano. (I Vinante sono originari di Amblar, in val di Non, sotto il Roen).«Ero una ragazzina catapultata in una grande città. Ho imparato in fretta tutto quello che c’era da imparare. E poi sapevo già cucinare». Nel 1982 Antonio mette in vendita l’attività. Le chiede se vuole subentrare. Rapido consulto in famiglia. Emanuela ne parla ai fratelli Paola e Marco. I genitori dicono: «Ok, vi diamo i soldi per iniziare». Detto, fatto. Primo gennaio 1983, dicevamo: Emanuela ha diciotto anni. Marco, il maggiore, che ha appena finito la naia, diciannove; Paola diciassette. Dolores, la più piccola, va ancora alle medie, ma l’estate e la domenica scende da Amblar per dare una mano dove c’è bisogno: cucina, bar, pulizie. «I nostri genitori – ricorda Paola riconoscente – ci hanno posto una sola condizione. Non venire mai meno a quelle che noi chiamiamo le “tre regole”. Le abbiamo rispettate ogni giorno per quarantadue anni».
Recita i tre “comandamenti”. Primo: qualsiasi cosa accada, restate sempre uniti e sostenetevi a vicenda. Secondo: gentilezza, cortesia, pulizia e rispetto assoluto del cliente. Terzo: portare in tavola sempre cibi buoni con prodotti genuini.«Eravamo dilettanti allo sbaraglio – racconta Marco Vinante -. Nessuno di noi aveva fatto la scuola alberghiera, nessuno, a parte Emanuela, aveva esperienza sul campo. Ci siamo buttati con passione, entusiasmo, curiosità. E onestà. Siamo sempre stati onesti in ogni cosa che abbiamo fatto».
I quattro si dividono i compiti. Emanuela in cucina. Marco e Paola in sala. Dolores, che nel frattempo entra a tempo pieno nella squadra, al bar e in cucina. Il locale (che negli anni è stato rinnovato tre volte), sempre tirato a lucido. Marco sempre impeccabile in giacca e cravatta, “d’estate e d’inverno”. Paola sempre col sorriso anche dopo dodici ore filate in piedi. Emanuela, “la nostra colonna”, in cucina con una resistenza da maratoneta. Dolores, esplosiva, a gestire le comande. Ritmi da stroncare Mike Tyson. Fanno tutto loro, anche le pulizie. Un solo giorno di riposo, il sabato, che però spesso salta per battesimi, compleanni, matrimoni. Aperti tutto l’anno. Aperti quando gli altri chiudono. «Ci siamo resi conto – prosegue Marco – che a Bolzano non c’era niente nei festivi. Natale, Capodanno, Pasqua, la gente non sapeva dove sbattere la testa se voleva mangiare fuori. Ci sembrava eticamente giusto fornire questo servizio, che, ci tengo a dirlo, è un servizio pubblico alla città».Per la cena della Vigilia e per il pranzo di Natale la richiesta è così alta che di Alexander ce ne vorrebbero tre uno accanto all’altro. «Ci piangeva il cuore a dover lasciare fuori tanti clienti affezionati». Un legame tanto speciale da convincerli a rinunciare ai pullman che piombavano in città nei primi tempi del Mercatino di piazza Walther.«Per far posto ai turisti avremmo dovuto dire no a chi ci dava la fiducia tutti i giorni. Non aveva senso. Era come venir meno alla parola data».
Determinazione e tanto, tanto lavoro, così, anno dopo anno, i “Vinante da Amblar” vincono la scommessa: far decollare un ristorante in periferia, in una via stretta e cieca (una laterale di via Milano), e, oltre tutto, senza parcheggio. Nei primi anni ’80 la strada era abbandonata a se stessa, buia la sera, affacciata sull’allora poco raccomandabile lungo Isarco. Una periferia della periferia. I Vinante accendono la luce, portano gente, aprono la terrazza sulla via. Un presidio pacifico che dà una bella ripulita alla zona.Alexander diventa un punto di riferimento non solo per chi in quartiere vuole mangiare bene sentendosi a casa, ma anche per tantissimi affezionati che dal centro si spostano ogni giorno in via Aosta per affondare la forchetta in un piatto di tortelli alla zucca, nella guancia di maiale o nel tortel di patate, preparato da Emanuela secondo la tradizione nonesa. «La chiave di tutto – dice orgoglioso Marco – è stata il passaparola». Il locale negli anni è tappa obbligata per le società di calcio cittadine (Virtus e Oltrisarco su tutte), e per il mondo dello spettacolo. Dai fotoromanzi alla tv, dal cinema alla musica, passavano tutti da qui.
L’album delle foto ci riporta a un’Italia che stringe il cuore: Massimo Troisi, Lino Banfi, il mitico Maurizio Merli. E ancora: Frank Zappa, Claudio Amendola, Lino Toffolo, Toni Santagata… Memorabile quella volta che Miguel Bosè fu costretto a scappare dalla cantina. «Le ragazzine si erano arrampicate sulle finestre, un delirio», racconta Paola divertita. «La nostra forza – dice usando ancora il presente – siamo noi. L’essere così uniti. Possiamo discutere sul menù o sulle etichette dei vini, ma alla fine troviamo sempre un accordo. In quarant’anni non abbiamo mai litigato. Mai». Marco spiega la ricetta senza tanti ricami. «Un locale così può stare in piedi solo se a gestirlo è una famiglia compatta, che lavora sodo, contiene le spese e non si pone problemi di orari, ferie, riposi. Noi per dire, non abbiamo mai avuto il commercialista». I conti li ha sempre tenuti lui insieme alla moglie Rossella. «Se hai del personale è impossibile. Sia per i costi, sia per la disponibilità. I giovani non vogliono lavorare il sabato, la domenica o nei festivi. Così non ce la fai. Noi oggi chiudiamo. Mi spiace, perché qui intorno non c’è più niente, ed è un peccato». L’attività è in vendita. Ma non è un “vendere per vendere”. «Io sono chiaro: quando si presenta qualcuno che vuole rilevarla assumendo personale, gli dico no. Così perdi solo i soldi. Non duri. Qui può farcela solo una famiglia». Una famiglia come i Vinante. E domani? Come sarà non essere più qui, tra i tavoli, la cucina e il bancone bar?«Non lo so – dice Emanuela -, mi sembra tutto irreale».«Triste – dice Dolores -, ma questo è il momento giusto. Anche per fare altre cose».«Triste – dice Paola -, mi mancherà tutto di questi anni. Li rivivrei tutti e quarantadue».«Con l’anima in pace – dice Marco -. Abbiamo lavorato sodo, abbiamo dato il massimo. E poi… noi saremo sempre noi. Sempre insieme. Domani mattina, quando mi alzerò nella nostra casa di famiglia ad Amblar, andrò a svegliarle una per una. Perché la colazione non è colazione senza Emanuela, Paola e Dolores».
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