Gaetano Scirea, il difensore gentiluomo del Mondiale '82 e simbolo della Juventus – La Gazzetta dello Sport
September 8, 2023 | by allcalcio.it
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Furio Zara
E quando in televisione sbuca in qualche immagine di repertorio – la schiena dritta, l’eleganza non come posa ma come attitudine, la pulizia in ognri tocco e in ogni movimento – vien da pensare che uno come Gaetano Scirea è stato un’anomalia, un lusso, un privilegio di cui l’Italia ha goduto, seppur per poco, fino a quando un destino bastardo lo ha sottratto a questa terra a soli trentasei anni: c’era ancora tutto da fare. Al di là della straordinaria carriera e dei trofei – ha vinto tutto nella Juve, si è laureato campione del mondo 1982 con l’Italia di Bearzot – Scirea è stato il custode della più sottovalutata delle qualità: la compostezza. Per i tifosi della Juve e per quelli della Nazionale, era una consolazione identificarsi in lui e avere conferma che il suo modo di porsi era il miglior modo di stare al mondo.
Gaetano Scirea con la maglia della Juventus
Un gentiluomo con il numero 6 sulle spalle, un calciatore esemplare per correttezza – in tutta la carriera non è mai stato espulso – e per la naturale inclinazione a placare gli eccessi, cercando sempre di capire, di avere uno sguardo alto. Dove finiva la classe, cominciava la signorilità dell’uomo. La moglie Mariella una volta ha raccontato che di ritorno in macchina insieme dopo le partite al Comunale – come usavano in famiglia – lei commentava i fatti salienti della partita appena giocata e magari sottolineava qualche errore dei compagni di Gaetano. Lui ascoltava, ripercorreva mentalmente le azioni di gioco e trovava una giustificazione a tutto, le spiegava che nel calcio non si sbaglia mai da soli, ma di squadra. Non lo faceva con saccenza, ma perché ci credeva.
Gaetano Scirea con la maglia dell’Atalanta
Scirea, classe 1953, figlio di operai alla Pirelli che fanno fatica ad arrivare a fine mese, terzo di quattro fratelli, nasce a Cernusco sul Naviglio, all’epoca in cui i liberi della Serie A nascevano tutti lì – lui, Tricella, Galbiati – e comincia a giocare come mezzala – i piedi buoni e l’idea di gioco ce l’ha – per poi venire reinventato come libero all’Atalanta. Per un paio d’anni fa coppia con Percassi, l’attuale presidente. Gioca a testa alta, sicuro e sereno anche nella baraonda. Nel 1974 lo prende la Juventus, dopo una trattativa privata tra Agnelli e il presidente bergamasco Bortolotti, che si chiude con il trasferimento del ragazzo a Torino per settecento milioni di lire, più Mastropasqua, Marchetti e Musiello. Al suo fianco nel corso degli anni si danno il cambio solo marcatori implacabili, prima Morgan Morini e poi Sergio Brio. È Parola a intuire che potenzialmente può diventare un grande comandante della difesa, ma è con Trapattoni che Scirea diventa l’interprete più forte a livello mondiale nel suo ruolo. In bianconero rimane quattordici stagioni, fino al 1988, quando – di anni ne ha trentacinque e i trofei in bacheca traboccano: sette scudetti, tutte le coppe – sa che dopo 552 presenze (quarto nella classifica di sempre, dietro a Del Piero, Buffon e Chiellini) è arrivato il momento di smettere e comincia – da vice dell’amico Dino Zoff – la sua brevissima avventura in panchina.
In azzurro Scirea arriva nel 1975, quando la coppia Bernardini-Bearzot sta superando la disfatta al Mondiale di Germania lanciando una nuova generazione. Sono 78 le sue partite in Nazionale (2 i gol, alla Polonia in amichevole e alla Grecia nelle qualificazioni al Mondiale 82), l’ultima (da capitano) a Città del Messico alla coppa del mondo – la terza a cui ha partecipato – che vede l’Italia uscire agli ottavi di finale e certifica la fine del glorioso ciclo di Bearzot, che Scirea l’ha lanciato e difeso. Undici anni al centro della difesa, da comandante silenzioso, insieme ai tanti compagni della Juve – negli anni Zoff, Gentile, Cabrini, Benetti, Tardelli, Causio, Rossi, Bettega – che formano la spina dorsale della nazionale. Scirea rientra nell’inquadratura iconica del Mondiale del 1982, quando Tardelli segna il momentaneo 2-0 alla Germania Ovest e poi libera la sua felicità con l’Urlo più famoso della storia del nostro calcio. Tutto nasce da un’azione di contropiede perfetta, con Conti che avanza e l’Italia che porta in area avversaria due difensori, Bergomi e per l’appunto Scirea, alla faccia del catenaccio: è lui a fornire l’assist che favorisce il tiro del compagno di squadra.
Io e Gaetano eravamo una persona sola
Gaetano – Gai per amici e compagni di squadra – gioca la sua ultima partita con la Juventus il 15 maggio del 1988, sconfitta in casa contro la Fiorentina, ultima di un campionato che lo vedrà scendere in campo solo sei volte. Quell’estate accompagna come detto Zoff nella sua prima avventura da allenatore, ovviamente sulla panchina della Juventus. Quando giocavano dividevano la camera in ritiro. In Nazionale, la loro camera è la “Svizzera”, per la tranquillità che vi regna. Nella notte di Madrid – dopo la gloria del Bernabeu – Dino e Gai tornano in camera, si stendono a letto, si accendono una sigaretta, scambiano due chiacchiere – ma proprio due – e si danno la buonanotte. Gaetano Scirea muore il 3 settembre 1989. E’ in Polonia, mandato a seguire il Gornik Zabrze, prossimo avversario della Juventus in Coppa Uefa. La Fiat 125P su cui viaggia con il presidente e due impiegati del Gornik si scontra con un furgoncino Zuk e prende fuoco. Lascia la moglie Mariella e il figlio Riccardo, che all’epoca ha dodici anni: accompagnava il papà all’allenamento, alla fine si concedevano venti minuti di corse e tiri per il prato, insieme. Al suo funerale sfilano in cinquantamila, Gaetano viene sepolto a Morsasco, nel Monferrato, il paese di origine della moglie. Il calcio italiano lo omaggia come “il miglior libero della storia d’Italia”. L’amico di una vita, Dino Zoff, è affranto dal dolore. Dice: “Io e Gaetano eravamo una persona sola”.
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Un’ultima cosa, un piccolo flash che ne fotografa l’umiltà e la grandezza: dopo il trionfo del 1982, Scirea torna sui banchi di scuola, si iscrive alle serali, indirizzo magistrale. Il pomeriggio si allena, la sera studia. Aveva smesso da ragazzo, in seconda superiore, quando era stato costretto ad andare a lavorare da tornitore. Gli era sempre rimasto il rimpianto di non aver concluso gli studi. Si diploma maestro nel 1987, quando a trentaquattro anni e da campione del mondo sostiene l’esame di maturità. No, non ce n’è stato un altro come Gaetano Scirea.
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