L’ex attaccante: “Mio padre uccise mia madre, andavo a trovarlo in carcere, poi si suicidò. Voglio portare alla luce la mia storia perché le persone riconoscano le situazioni di violenza e le donne denuncino”
Da quale vita iniziare per parlare di Andrea Carnevale? Ex calciatore ora dirigente, capo scout dell’Udinese (“società a cui sono grato per avermi voluto in un momento difficile della mia esistenza”), attaccante che ha vinto due scudetti col Napoli, che ha subito un pensiero per Franco Baresi (“Campione autentico, gli sono vicino”), che ha segnato molto e ha riempito le pagine delle riviste di gossip. Un bambino che ha pianto tanto, un uomo che ha perdonato il crimine più atroce. Ed è riuscito a raccontarlo, ha messo tutto in un libro (“Destino di un bomber”) e ora porta avanti la battaglia contro i femminicidi e le violenze domestiche, affinché non vengano uccise più donne come sua madre e affinché non ci siano più orfani come lui. Da un anno e mezzo dunque vive questa sua nuova vita da megafono per dare voce a chi non la trova e sensibilizzare su un tema purtroppo attualissimo che ha segnato la sua esistenza cinquant’anni fa; il tutto, partendo dalla sua storia, “quella di un bambino che ha visto morire la propria mamma, uccisa dal papà con un’ascia”.
Cosa significa aver raccontato quell’orrore?
“Da allora mi sento meglio. Mi chiamò l’associazione Telefono Donna, da quel momento ho incontrato tante donne sotto protezione e tutto questo mi ha colpito. Avevo voglia di portare alla luce la mia storia affinché le persone riconoscano le situazioni di violenza, le donne denuncino, siano protette se subiscono violenze e che gli orfani possano avere la fortuna che ha avuto Andrea Carnevale”.
Ma lei suo padre l’ha perdonato? Se di perdono si può parlare.
“Sì, andavo sempre a trovarlo in carcere. Volevo vedere come stava, se migliorava. In famiglia non si è mai parlato di questo né di mio padre che si suicidò davanti ai miei occhi perché mi aveva aggredito brutalmente. Poteva essere un’altra tragedia se non ci fosse stato mio fratello… Il dolore è stato fortissimo, ma il cuore di più. Ho avuto un padre malato. Parliamo di 50 anni fa, non c’erano i mezzi o la medicina di adesso ma, certo, qualcosa si poteva fare. Le avvisaglie c’erano tutte le sere”.
Al telefono Carnevale palleggia da un argomento e da un ricordo all’altro, leggero nonostante i macigni. Portavoce di una battaglia enorme e allo stesso tempo innamorato del pallone. Da sempre. Il calcio d’estate lo vede protagonista e spettatore, e se guarda alla A ha pochi dubbi: “Solo il Napoli si è rinforzato davvero. È diventata la capitale del calcio”.
“Tenere Conte. Napoli è coinvolgente e lui è stato contagiato a rimanere”.
Che sapore ha vincere a Napoli?
“Spettacolare. Rivincite, vittorie, rivalità. E poi la magia di Diego…”.
Maradona, suo grande amico.
“Un genio. Il miglior regalo che potesse capitarmi. Un giorno giocavamo contro l’Ascoli, eravamo primi, i tifosi fischiavano. Io facevo fatica, lui mi venne vicino e mi disse “ora segni”. Una pacca sulla spalla e andò. Feci gol, mandai a quel paese il pubblico che ci fischiava, poi mi scusai. E vincemmo”.
C’è un luogo di Napoli a cui lega particolari ricordi con Maradona?
“Sincero? Le discoteche. Una volta ci troviamo a bere in un piano bar alle 2.30 di notte, e un ragazzo gli chiede cosa stesse facendo a quell’ora lì. Lui, secco: ‘Fatti i fatti tuoi’. Quando non era in campo nessuno doveva dirgli cosa fare”.
Anche lei poi è finito sulle pagine di gossip.
“E l’ho vissuto in modo eccezionale. Ero un bel ragazzo e mi sono preso anche quella fetta di vita che mi piaceva molto”.
Pensi se a quei tempi ci fossero stati i social…
“Magari avrei avuto qualche occasione in più (ride, ndr)”.
Lei e Paola Perego eravate la perfetta coppia da rivista.
“Sono stato con una donna dello spettacolo e ho avuto due figli straordinari da lei. Per me è stato bellissimo, non posso buttare fango su una storia d’amore voluta e in cui ci si è voluti bene”.
Che padre è per i suoi figli?
“Affettuoso e amorevole, non di grande comunicazione ma sto migliorando. Purtroppo non me l’ha mai insegnato nessuno”.
Torniamo al calcio, da Napoli a Roma: un giudizio su Gasperini?
“Mi piace tantissimo. Straordinario all’Atalanta: ci ha fatto vedere forse il miglior calcio degli ultimi 4/5 anni”.
Se potesse scegliere, andrebbe a cena con lui o con Conte?
“Non scelgo. Prenoto un tavolo da tre”.
Che ricordi ha di Roma?
“Che bello arrivare lì: volevo andarci e il presidente Viola mi voleva fortemente. Poi però è capitato quell’episodio del doping per una cazzata mia e mi sono preso tutte le responsabilità con la squalifica di un anno. Ho subito un po’ la sorte di Sinner; condannati per uno zero-virgola per cento”.
La Nazionale: soddisfazione o rimpianto?
“Un rimpianto che non riesco a togliermi di dosso. Mi ero preparato bene al Mondiale, poi contro l’Austria mi sono capitate un paio di palle facili e alla fine il mio posto l’ha preso il mio amico Schillaci. Mi ha rubato il posto ma se l’era meritato quel Mondiale. Il “vaffa” a Vicini ancora mi tormenta”.
Se guarda indietro cosa vede?
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“In tanti mi dicono che avrei potuto fare di più. E rispondo che sono d’accordo ma io da bambino mai avrei pensato di giocare con Zico e Maradona. Mi ritengo un ragazzo fortunato. La mia vita calcistica è stata successo e riscatto. Ora sono un uomo migliore e in pace con se stesso”.
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