La lettera del presidente dell’Associazione degli allenatori dopo «il Caffé» dedicato al tecnico del Real Madrid: «Carlo era onesto quando confessava il suo lutto interiore e la sua impotenza dopo l’alluvione a Valencia»
Carissimo Gramellini,
quando si prende spunto dalle parole di qualcuno che ci induce a intervenire su un tema, è secondo me sempre buona abitudine valutare da quale pulpito arrivano. Questo per regolarsi nel «colore» e nel «calore» della replica eventuale. Siccome il suo è un pulpito che mi garba e che ascolto sempre volentieri, per scritto o in tv, mi ha colpito leggere le sue riflessioni a proposito di Carlo Ancelotti.
L’allenatore del Real Madrid, nella conferenza stampa della vigilia della partita di Champions League contro il Milan, ha espresso sincero imbarazzo per il fatto di dover giocare, mentre Valencia, straziata dal mare di fango che l’ha soffocata, conta i suoi morti, in una Spagna scioccata. Aggiungendo poi che la scelta di far disputare l’incontro non è dipesa da lui o dai calciatori, che non avrebbero voluto giocare, ma da quelli «che stanno sopra» e che alla squadra non è rimasto altro che adeguarsi. A lei questa conclusione non è piaciuta, auspicando azioni concrete in linea con certe posizioni etiche, e non mere affermazioni di principio, chiosando alla fine, con durezza: «Lamentarsi e indignarsi senza fare mai seguire alla denuncia un gesto concreto è l’atteggiamento tipico delle vittime. Ci sono circostanze in cui bisogna anche saper tirar fuori “los cojones”. Altrimenti è meglio stare zitti che belare».
Ecco, questa chiusura da lei proprio non me l’aspettavo. Quanto sostenuto fin lì, ovvero l’importanza della disobbedienza all’ingiustizia, dell’interessarsi alle cose del mondo a me pareva musica, richiamando alla mente l’I care di Don Milani, che il prete di Barbiana opponeva pedagogicamente al «me ne frego» fascista. Mi sembrava persino «moderno» (e lei sa come l’ho sempre pensata e da che parte sto) il suo ragionamento sulla mobilitazione e sull’impegno di chi ha potere, soprattutto mediatico, per dar voce e per compiere gesti di rottura preclusi ai deboli. Temo però che il genere di problemi, di egoismo, di indifferenza, di antipolitica, raggiunti in questi tempi agri riguardino ciascuno di noi e ci sia bisogno assai di più dei cojones di un allenatore, pure si tratti di Ancelotti.
Glielo dico, Gramellini. Non è benaltrismo il mio, piuttosto un richiamo alla solidarietà fattiva e alla mobilitazione di ognuno. Il calcio dovrà fare la sua parte ma prima del calcio vedo praterie di sepolcri imbiancati e facce girate dall’altra parte… E davanti alle guerre, ai genocidi in atto, non dovrei avere bisogno di una chiamata alla mobilitazione di un asso del pallone. Credo che il rider che nella notte dell’ultima alluvione di Bologna ha consegnato pizze, senza per altro riceve un euro di mancia, potrebbe contribuire bene al dibattito.
Infine, per chi le usa per lavoro, le parole sono ancora più importanti. So che lei lo sa bene, per la cura e l’intelligenza con cui le adopera quotidianamente. Mi spiace in questo senso, che non abbia fatto sconti a un uomo come Ancelotti, pur avendo allargato il discorso. Quello di Carlo è sempre stato un pulpito da cui sono arrivate parole misurate e oneste, un esempio di umanità sempre mantenuta anche al livello professionale straordinario raggiunto. Come onesta era la sua faccia l’altro giorno quando confessava il suo lutto interiore e la sua impotenza. Certo, in questo mondo di lupi, meglio, di iene, non mi pareva belasse. Con immutata stima,
Renzo Ulivieri
Presidente dell’associazione Italiana allenatori calcio
Caro Ulivieri,
la ringrazio per il garbo della sua replica e riconosco di essermi lasciato trascinare dalla passione e di avere infierito nelle ultime righe sul bersaglio forse meno colpevole, essendo Ancelotti un uomo mite e perbene.
Mi colpisce però che Lei mi abbia scritto per difendere un suo collega. Mi dirà che è un suo dovere, come presidente dell’Associazione allenatori, ma io ci vedo la conferma che anche i migliori, in questo Paese di corporazioni, si sentono chiamati in causa solo quando si tocca uno della loro tribù.
Con grande stima e simpatia,
Massimo Gramellini
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