L’ex enfant prodige della Fiorentina gioca in seconda serie turca nel Boluspor e si racconta: “Ogni volta che stavo per decollare qualcosa mi frenava, non ci dormivo la notte”
Bolu è una specie di Bormio di Turchia, ci si va per sciare e rilassarsi alle terme. Per rinascere, insomma. Ed evidentemente funziona, perché proprio ai confini dell’impero sta rinascendo Babacar. L’ex bambino prodigio della Fiorentina gioca in seconda serie turca con il Boluspor e sta mostrando lampi di quello che poteva essere. Ha segnato 5 gol nelle ultime tre partite: cannonate di destro, volate in contropiede, persino una punizione da trenta metri ad aggirare la barriera. Baba si sta giocando i playoff per salire in Super Lig e sfidare Mourinho o Muslera come ai vecchi tempi, ha solo 32 anni e ancora tempo per prendersi altre soddisfazioni. Di lui, “talento dalle prospettive illimitate”, ci siamo persi molto, e non sempre per colpa sua. Una cosa su tutte: “Dovevo essere un grande giocatore di basket”.
“In Senegal da ragazzino ero un bel playmaker. Abitavo di fronte al campo da basket, e i miei manco sapevano che giocassi anche a pallone. Ma sul campo dove facevamo le partitelle con gli amici si allenava anche una squadra giovanile, mi videro e un giorno mi chiesero se volessi andare con loro a giocare un torneo in Francia. Ovviamente dissi di sì. Risultato? Capocannoniere e premio come miglior giocatore. Quando tornai la mia famiglia mi disse che forse avrei fatto meglio a cambiare sport…”
“Babacar è un talento dalle prospettive illimitate”. La frase è di Prandelli, se la ricorda?
“Certo, me la ricordo benissimo. E oggi posso dire che quella frase è stato un peso enorme per me. Mi ha fatto piacere, erano parole quasi da padre, ma forse ero troppo giovane…”

“A Firenze vivevo uno stress incredibile. Da fuori magari non si vedeva, ma chi stava in spogliatoio con me se ne accorgeva: ero un giovane venuto dal nulla, ero divorato dall’ansia”.
Ha mai pensato che avrebbe potuto fare di più in carriera?
“Certo che avrei potuto fare di più. E se fossi stato meno preda di stress e ansia, se fossi andato in campo più libero, se avessi sentito intorno a me più fiducia ci sarei riuscito. Da cosa derivava? Amavo talmente tanto Firenze e il colore viola che sentivo il peso di dover fare bene molto più forte degli altri. Firenze è casa mia, e tu a casa tua vuoi sempre dare tutto e non ricevere mai critiche. Ma il calcio è uno sport veloce, non ti dà tempo: o prendi il treno oppure…”
Chi ha tirato fuori il meglio da lei?
“Novellino a Modena, mi ha trattato veramente come suo figlio, mai come quell’anno mi sono divertito giocando a calcio. Ma anche con Montella mi sono trovato benissimo, c’era un bel feeling”.
Ha giocato anche con parecchi campioni a Firenze.
“Uno su tutti: Adrian Mutu. Però Salah fu una vera sorpresa, ebbe un impatto incredibile. Oggi uno lo vede come un grandissimo giocatore, lo era anche quando venne a Firenze solo che nessuno se l’aspettava. E l’Italia non è un campionato facile per un esordiente…”
Se lo immagina mai un tridente Babacar-Chiesa-Bernardeschi in maglia viola?
“Siamo tre figli di Firenze, ogni tanto me l’immagino. Ma il destino ci ha separati: c’è chi è andato alla Juve e chi ha fatto un altro giro”
Però a un certo punto pareva che dovesse andare all’Inter…
“Avevo fatto anche un provino da giovane alla Pinetina, ma si vede che non era destino. E io ci credo nel destino: per me Firenze è stata perfetta”.
Tra Babacar e la stratosfera c’è sempre stato qualche ostacolo. Gli infortuni, per esempio: 21 in carriera, di vario genere.
“Sì, sempre, da Firenze a Copenaghen. Quando arrivava il mio momento, quando iniziavo a fare gol e a trovare continuità mi infortunavo. Non so come e perché, capitava sempre così. Almeno tre volte all’anno, e io non lo accettavo perché non lo capivo. Le dicevo che credo al destino, no? Ecco, iniziavo a pensare che il mio destino fosse questo…”.
Non dev’essere semplice conviverci.
“Io ridevo e scherzavo con tutti, ho sempre sorriso, ma chi mi conosceva davvero come il mio procuratore Patrick Bastianelli capiva che dentro di me c’era qualcosa che si spegneva. Sa cos’è davvero brutto? Quando arrivi a dirti: ‘Ecco, anche questo non sarà il mio anno’. Io non ci dormivo la notte, con tanti pensieri che mi affollavano la testa…”
A un certo punto stacca il cordone ombelicale con Firenze e va a Sassuolo.
“Sì, ci sono andato per cambiare, per capire se effettivamente era il peso che portavo addosso a Firenze a frenarmi. Ma poi lì arrivò De Zerbi a cui piacevano attaccanti diversi da me. Lui voleva un 10 che fa il 9, un centravanti che partiva da dietro e manovrava la palla, alla Guardiola. E così faceva giocare in quel ruolo Boateng, anche se alla fine ho fatto più gol io di lui. Ma la vita e il calcio sono così, devi accettare anche le decisioni degli altri”
Ci ha raccontato il suo lato oscuro, ma in quella Fiorentina si rideva parecchio.
“Astori, Ljajic, Vargas, Gilardino, uno più simpatico dell’altro. In spogliatoio si facevano scherzi su scherzi. Vargas ti nascondeva le scarpe e non le trovavi più, sai quante volte sono tornato a casa in ciabatte. E se gli dicevi di piantarla e magari non era stato lui peggio, si arrabbiava di brutto. Una volta facemmo la lotta, durante un torneo in Brasile: lui era un picchiatore di forza, io diciamo più… tecnico. Voleva per forza buttarmi al tappeto ma non ci riusciva e intorno gli altri ridevano. Mi sono fermato perché altrimenti sarebbe degenerata. Lui era un ragazzo buonissimo ma aveva una forza incredibile, mi avrebbe spezzato in due…”
Come si sta in Turchia?
“Benone, dopo due anni passati a non giocare a Copenaghen sono tornato a vedere il campo con continuità. Abbiamo cambiato tre allenatori e non è semplice. Sai, inizi a giocare, poi ne arriva un altro, vuole cose diverse da quelle che fai tu, e ricomincia la storia del ricominciare, degli ostacoli…. Per fortuna l’allenatore attuale, Koşukavak, quando è arrivato mi ha detto: ‘Ma come facevi a stare in panchina prima? Il mio centravanti sei tu’. E difatti con lui ci stiamo giocando i playoff per andare in Super Lig”.
In Italia ci tornerebbe?
“Certo, è casa mia. Accetterei anche la Serie B, mi frena il fatto di non avere ancora avuto il passaporto italiano dopo 14 anni”
Balotelli lo sente più?
“No, non lo sento da una vita. Mario lo devi conoscere, non lo devi vedere da fuori: solo se ci hai a che fare capisci che bella persona è. E io e lui ai tempi parlavamo, ci confrontavamo, condividevamo tante cose. Però non mi è mai piaciuto che mi definissero il nuovo Balotelli: non ho mai avuto niente contro di lui, semplicemente lui aveva il suo stile di vita e io il mio”.
E com’è lo stile di Babacar?
“Sono un tipo tranquillissimo, non mai bevuto né toccato una sigaretta. Poi ovvio, quando sei giovane è normale che una serata in discoteca te la fai, tutti hanno avuto vent’anni…. Nel mondo è pieno di gente che guarda a quello che sei tu perché non vogliono guardare a quello che sono loro”.
E la Baba-car? La Camaro coi sedili in pelle con la bandiera del Senegal che aveva a Firenze?
“Eh, forse per quella che hanno iniziato a chiamarmi nuovo Balotelli… Ma l’ho data via subito. Pensi che a Modena giravo in bicicletta, col sole o con la pioggia”.
Alla Gazzetta disse che un giorno avrebbe voluto fare l’attore comico. Conferma?
“Mi piacerebbe, faccio ridere, è una dote innata. Anche qui in Turchia quando dico una cosa gli altri si sganasciano. È che io di base sono una persona molto timida, potrei stare seduto per ore tra la gente senza dire una parola, e ogni tanto la battuta ti aiuta a farti conoscere, a non tenerti la timidezza con te”. Dopo tanti sospiri, Babacar si scioglie in un bel sorriso.
Questo articolo è tratto da Extratime, newsletter su stelle e storie di calcio estero a cura di Giulio Di Feo, pubblicata ogni venerdì. Per iscriversi e per informazioni sulle altre newsletter della Gazzetta, clicca qui
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