Antonio Cabrini: “Ho ancora i sacchi di lettere delle fan, ma non li apro”

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L’ex campione si racconta: “Oggi mi godo il tempo e gestisco quattro campi da padel col mio amico Cesare Prandelli”

Alessandra Bocci

Giornalista

Stagioni indimenticabili. “Le estati di Milano Marittima. Avevo 18, 20 anni. Stavo diventando popolare”. Antonio Cabrini è stato un simbolo del calcio italiano, bello, bravo, titolato. Ma a un certo punto si è allontanato dal pallone. “Per carità, se mi chiamano per una trasmissione tv non dico di no, ma di partite ne vedo poche”.

“Un portiere che tocca la palla 70 volte a gara per me è inaccettabile. Ho un’idea diversa, ma non vorrei sembrare vecchio. Le mie sono soltanto opinioni, non dico che questo calcio sia peggiore del mio. Dico solo che è diverso e io mi ci trovo poco. Sono perplesso, come tanti. Il calcio però muove tanti interessi, è un’industria e bisogna tenere conto anche di questo. Il mio mondo era differente”.

Però lei è stato uno dei primi a crearsi un’immagine, a buttarsi in pubblicità.

“Vero. Tutto merito di Vitale allora proprietario di Robe di Kappa. Ci incontrammo un giorno dopo il Mondiale dell’82 e mi disse: “Tu sei perfetto”. Cominciai con il suo marchio, poi mi contattarono altri brand”.

“Sì. Poi sono arrivati Paolo Rossi e non soltanto lui. Penso di avere aperto una strada”.

Forse perché era anche bello. È vero che ha ancora sacchi di lettere delle fan?

“Roba di quarant’anni fa, anche di più. Credo che non le aprirò mai. Le ho in cascina, da mia madre. Sono cose del passato e non è giusto rivangarle”.

Era lusingato da tanta attenzione?

“Più che altro sorpreso. Ma sa, dopo un Mondiale vinto, le figurine Panini, le tv… ci stava”.

Le manca qualcosa di quel periodo?

“Il tempo passa. Abbiamo una chat noi campioni dell’82, siamo sempre in contatto. Però poi nella vita si fanno altre cose e bisogna accettare i cambiamenti”.

Il tempo è un amico o un nemico?

“Il tempo esiste e cerco di godermelo. Faccio cose che da giovane non potevo fare, tipo viaggiare di più o godermi le estati in spiaggia. Quando giocavo l’estate finiva presto perché si andava in ritiro”.

Eppure del calcio non le manca niente…

“Mi mancano gli amici. Il mio calcio era divertente, c’era contatto umano. Alla Juve ci si allenava in un campo a pochi passi dallo stadio, in mezzo c’era soltanto una strada, corso Sebastopoli, da attraversare. C’erano i tifosi, 15-20, che ci aspettavano tutti i giorni, il rapporto era diretto, si chiacchierava. Adesso fra i tifosi e i giocatori c’è distanza. Ma ripeto, era un altro mondo e lo capisco”.

Ha parlato di amici. È stato compagno di stanza di Paolo Rossi per anni.

“Dieci, per l’esattezza, in Nazionale. Era una persona meravigliosa oltre ad essere un grande campione. Aveva qualità pazzesche nonostante il fisico gracilino. Ma era bello viverlo oltre il calcio. Quando i giochi finivano, si parlava poco di pallone. C’erano scherzi, tante risate. Paolo era un tipo divertente”.

Altre amicizie nel suo mondo passato?

“L’amico più stretto è Cesare Prandelli, siamo praticamente cresciuti insieme. Mi piace perché è una persona diretta, che bada al sodo. Abbiamo iniziato alla Cremonese, ci siamo ritrovati alla Juve. Avevo un bel rapporto anche con Manuela, la moglie che non c’è più. Adesso io e Cesare gestiamo insieme quattro campi di padel a Cremona”.

Ecco, il padel. La sua passione recente.

“Mia e di molti ex calciatori che si divertono e hanno trovato un’attività fisica che li fa ancora sentire in forma. In più sono sempre competitivi, è tutta gente che si diverte a dare battaglia e non vuole perdere. Per questo il padel per loro funziona”.

Della sua infanzia che cosa ricorda?

“La libertà. Si giocava nell’aia dalla mattina alla sera, nessuno aveva paura di niente. Adesso se un bambino si allontana di qualche metro logicamente scatta il panico”.

La figura che nel calcio per lei ha contato di più?

“Il primo allenatore alla Cremonese, Nolli. Fu lui a impostarmi da fluidificante. Un giorno mancava il terzino sinistro, mi disse: fallo tu. Feci presente che ero un’ala e rispose, fa niente, sei bravo anche lì. Accettai pur di giocare e cominciò la mia storia. Nel calcio le cose accadono anche per caso”.

Ha giocato mille partite: la preferita?

“Ancora un episodio legato agli anni delle giovanili: la finale di un torneo che giocai con gli Allievi della Cremonese. Battemmo la Juve ai rigori, c’erano calciatori che poi avrebbero fatto strada: Paolo Rossi, Marangon, Marocchino, Zanone. Tanti li ho ritrovati negli anni. Ho avuto la fortuna di incrociare spesso in carriera le stesse persone, ragazzi che vedevano il calcio come me”.

È strano però che fra tante si ricordi una partita giocata da ragazzino della Cremonese…

“Era il primo successo a livello nazionale, qualcosa che ti resta dentro per sempre. Poi, chiaro, potrei dirle la finale intercontinentale vinta con la Juve a Tokyo. Ma certe emozioni vissute a quell’età sono indelebili”.

Cabrini, siamo sicuri che il tempo sia un amico?

“Io riesco a farlo passare molto bene”.



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