Amarezze, disillusioni, sfoghi e una coppa: i 100 giorni di Conceiçao col Diavolo

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Il bilancio del portoghese è ancora provvisorio, ma di certo non è andata com’era immaginabile. Tra sfoghi, incomprensioni e sprazzi di luce, ripercorriamo l’avventura del tecnico in rossonero

Altro che 100 giorni. Sembrano 100 anni, per quanto è complesso, pesante e doloroso maneggiare il Milan di questi tempi. Sergio Conceiçao lo scorso martedì – 8 aprile – ha raggiunto quella soglia simbolica che permette un primo bilancio. In politica i 100 giorni sono un traguardo volante che indica il lasso di tempo nel quale occorre dare l’impulso a un nuovo corso: la definizione è perfetta anche per il mondo del pallone, che stavolta non è stato particolarmente affettuoso con Sergio. Al traguardo volante si è presentato un uomo deluso, in parte rabbioso, comunque fermo nelle sue convinzioni ma allo stesso tempo sicuramente provato. Cambiato, probabilmente no. Nei pregi come nei difetti, lui lo dice spesso: “A 50 anni ormai non cambio, dovete prendermi per quello che sono”. Di certo, quando è sbarcato a Milanello la prima volta lo scorso 30 dicembre, Conceiçao immaginava un’avventura diversa. Complicata, certo, come ha ripetuto spesso: “Se le cose andassero bene, non sarei qui”. Ma magari non così stritolante. Il Milan di quest’anno è come un boa constrictor: ti avvolge, ti soffoca e ti divora lentamente. Le prime notti aveva dormito a Milanello, per inalare milanismo e buttarsi h24 nella sua nuova missione. I tifosi lo avevano accolto con interesse e un discreto grado di stima. Soprattutto, portandosi dietro la nomea di Conte portoghese, la gente rossonera lo riteneva la figura adatta per scrollare uno spogliatoio piatto.

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