ROMA – “Un giorno giocavamo a Sofia, in Bulgaria, per la Conference League, era dicembre e il tempo terribile. Nevicava, faceva molto, molto freddo ed eravamo di cattivo umore anche se avevamo vinto”. Intervistato dal portale inglese inews, Tiago Pinto torna a parlare della Roma e del suo rapporto con Mourinho, partendo da un curioso episodio: “Vincevamo 3-0 ma alla fine abbiamo vinto 3-2, una partita molto brutta – racconta l’ex ds giallorosso – Tutti volevano solo farsi una doccia, prendere un autobus e andare all’aeroporto. Nevicava, era mezzanotte e quando Mourinho è uscito dallo stadio ha fatto 50 metri fino al punto dove c’erano 100 o 200 persone che gridavano per lui. È andato lì, ha fatto foto, ha fatto autografi. Ero sull’autobus a guardarlo e ho pensato: ‘Questo uomo ha vinto 25 titoli, è incazzato per la partita, tutti sono congelati e si sta prendendo 15 minuti per fare questa cosa’. Sembra un piccolo dettaglio, ma alla fine lavoriamo per le persone. La cosa più speciale di Mourinho è il modo in cui lavora con le persone, la reazione che provoca in loro”.
Tiago Pinto: “Mourinho impegnativo ed esigente”
Tiago Pinto racconta cosa ha significato per lui lavorare nella Roma con il tecnico: “Non fraintendetemi, quando lavori con un uomo con un profilo così importante, è impegnativo. Ed è esigente perché ha ottenuto così tanto e ha standard elevati. Non dimentichiamo che sono portoghese e ho iniziato a lavorare con lui quando avevo 36 anni, per un giovane direttore sportivo è impossibile lavorare normalmente con Mourinho. Ho imparato molto da lui. È uno degli allenatori più importanti della storia del calcio. Il calcio è come ogni cosa, ha dei cicli. A volte sei d’accordo, a volte non sei d’accordo, ma nessuno può minimizzare il grande impatto che ha avuto alla Roma. Ciò che ti colpisce davvero ogni giorno è ciò che significa per le persone. Non importa se sei a Londra, Reykjavik, Dubai o dovunque, ciò che Josè significa per le persone è qualcosa di straordinario”.
Tiago Pinto: “Come abbiamo convinto Abraham a scegliere la Roma”
L’ex dirigente della Roma svela anche un retroscena di mercato sulla trattativa per l’acquisto di Abraham: “Quando abbiamo ingaggiato Tammy e lui era vicino a firmare per altri club, ci siamo assicurati che la prima volta avessimo una maglietta con il suo nome e il numero che avrebbe indossato con noi. Forse questo significava qualcosa per lui. Non sono il tipo che chiama tutti dicendo ‘potrei essere interessato al tuo giocatore’ e lavora su molti altri tavoli. Un agente mi ha detto: ‘Sei l’unico direttore sportivo che conosco che mi dice subito che non ti interessa'”.
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