Rabbia e orgoglio. Onore all'Inter, all'altezza del Manchester City – La Gazzetta dello Sport
September 21, 2023 | by allcalcio.it
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Lautaro Martinez. Lapresse
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Andrea Di Caro
Onore ai vinti. L’Inter esce dal campo in lacrime ma a testa altissima. Tra meritati applausi, piena di orgoglio, rabbia, rimpianti e maledicendo un po’ di sfortuna. Non si può far passare una sconfitta per una vittoria: la Champions è andata ad arricchire la bacheca del Manchester City. Ma non c’era modo più onorevole di perdere una finale contro una squadra più forte, la migliore al mondo, forse la più grande della lunga storia di Premier. Alla vigilia il City era favoritissimo.
In Inghilterra si sono sprecati pronostici “spacconeschi” . I più moderati prospettavano una vittoria con 3 gol di scarto. E sulla carta potevano anche starci considerando certe maiuscole prestazioni della super squadra di Guardiola in questa stagione e in Champions. Basti ricordare che il City ne aveva rifilati 4 al Real Madrid, campione d’Europa, in un solo tempo nella semifinale di ritorno. Ma fino al 68’ il risultato era invece di 0-0, con gli inglesi che avevano fatto la partita, ma avevano sbattuto quasi sempre sul sapiente muro tattico di Inzaghi che aveva chiuso spazi e intasato tutte le linee di passaggio avversarie. Una difesa organizzata che non era stata vecchio catenaccio. Non c’erano stati salvataggi epici, parate clamorose, pali e traverse a salvare i nerazzurri. Ma c’erano state attenzione, concentrazione, tanti raddoppi e prove di ripartenza. Certo l’Inter aveva creato poco, a parte un tiro di Lautaro su clamoroso svarione difensivo altrui, ma il meraviglioso City di Pep non si era visto. Né le sue famose giocate a mille all’ora, i movimenti senza palla, le imbucate, gli esterni altissimi, il giro palla. Insomma tutte le caratteristiche che hanno fatto strabuzzare gli occhi in tantissime gare quest’anno e permesso al Manchester di chiudere le gare con tanti gol di scarto, sembravano finite nel cassetto. Forse anche per la tensione che anche i grandi provano quando si trovano a un passo da un traguardo storico, il triplete, finora raggiunto solo da un’altra squadra inglese, lo United.
È come se il vecchio Pep sapesse che gli eccessivi favori del pronostico e l’abilità difensiva di una squadra italiana, potessero creargli più di un fastidio mentale e tattico e che questa era una partita semplicemente da vincere, non da stravincere. L’Inter per quasi 70’ ha tenuto il campo senza tremare troppo, poi il City ha trovato una delle azioni che ha reso straordinaria la sua annata e il gol di Rodri ha rotto l’equilibrio. A quel punto, con la necessità di recuperare, c’è stato il rischio che il City potesse arricchire il suo bottino. Ha avuto una clamorosa occasione per raddoppiare con Foden, ma dopo a premere è stata l’Inter con coraggio, capacità, razionalità. E a tremare davvero è stato il City, prima sulla traversa di Dimarco poi con la clamorosa occasione fallita da Lukaku all’89 fino all’ultimo assalto sull’angolo del 95’. Il City non ha certo rubato la sua vittoria, perché ha fatto a lungo la partita, ma viste le occasioni finali, l’Inter non avrebbe rubato il pari che l’avrebbe portata ai supplementari.
È stato bravo Inzaghi, lo è stata la sua difesa con l’ottimo Acerbi, Di Marco, Bastoni… Ha retto correndo e ripartendo il centrocampo. Ha faticato un po’ di più l’attacco e c’era da aspettarselo. Ed è un peccato che Lukaku abbia fallito una occasione incredibile che potrebbe fargli chiudere con un’amarezza in più questa sua seconda avventura nerazzurra. L’Inter deve essere orgogliosa di quanto ha fatto. Di più era difficile attendersi. Il City non è stato quello abituale, ma buona parte del merito è stato dei nerazzurri. Hanno giocato a testa alta, non hanno tremato, hanno perso solo di misura. I tifosi dell’Inter a Istanbul e a Milano possono essere fieri della prova. Non può essere dimenticato che davanti c’era una squadra formidabile. L’uscita di De Bruyne dal campo ha certamente penalizzato Guardiola che però ha trovato nel sostituto Foden un validissimo assaltatore. Inzaghi se l’è giocata a scacchi con Pep, mostrando le sue abilità nel preparare le partite secche. Esce da questa competizione sicuramente più esperto e più sicuro. Il bicchiere, anche considerando gli scivoloni in campionato, con due trofei e questa finale è mezzo pieno. Capitolo Guardiola: aveva già fatto vedere il calcio più bello travolgendo Bayern e Real. Ottiene il secondo triplete della sua carriera dopo quello col Barcellona. Ha vinto la sua terza Champions. Perdere questa occasione sarebbe stato imperdonabile. L’ha portata a casa Pep. Senza mostrare meraviglie, ma l’ha portata a casa. Per una volta anche per il più grande dei giochisti, contava solo il risultato. Onore, come è giusto che sia, anche ai vincitori.
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