I numeri fotografano l’annata no del danese: 4 reti in 32 presenze in Premier, senza gol addirittura per 21 partite. La buona notizia? Chiunque abbia lasciato in tempi recenti i Red Devils è rinato. McTominay insegna…
Novantaquattro infiniti giorni: per un attaccante di grido, rimanere a secco per così tanto tempo è una condanna. La speranza ti abbandona, i compagni ti lasciano, l’allenatore ti guarda strano; la notte, ti sogni quei mugugni che arrivano dagli spalti. È proprio quello che ha vissuto Rasmus Hojlund nel suo periodo più buio in maglia Manchester United. Tra il 12 dicembre dell’anno scorso e il 16 marzo di quest’anno, il danese non è mai andato a segno: un passaggio a vuoto lungo 21 partite. E dire che la seconda annata nel Nord dell’Inghilterra doveva essere quella del riscatto, della resurrezione calcistica a seguito di un 2023-24 grigetto. Invece, nella pessima stagione del Manchester United – quindicesimo in campionato e sconfitto dal Tottenham nella finale di Europa League – il ventiduenne ha toccato il fondo.
ambiente tossico
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Appena quattro reti in 32 presenze in Premier; un po’ meglio sul continente, ma l’etichetta di fallimento è difficile da lavar via. Soprattutto quando il tuo cartellino, acquisito dai Red Devils dall’Atalanta nell’estate del 2023, recita 72 milioni di sterline. Eppure qualche attenuante lo scandinavo ce l’ha. Il Manchester United versione 2024-25 era una squadra che provava a passare dalle lezioni di Ten Haag a quelle di Amorim, dalla linea a quattro ai tre centrali, indecisa se controllare o pressare. L’unica costante era quella di un ambiente tossico dove praticamente nessuno è riuscito a salvarsi. Nemmeno un professionista scafato come Casemiro, un leader tecnico come Bruno Fernandes. Figuriamoci se poteva resistere un ragazzo che, prima dell’esperienza inglese, aveva inanellato appena 32 partite in Serie A, oltre alla Superliga del suo paese e alla Bunde austriaca.
scelte tecniche discutibili
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“Nell’annata scorsa non siamo riusciti a servire in maniera pulita le nostre punte”, il responso dell’architetto magno Amorim. Affermazione che suona come un’attenuante gigantesca per Højlund, soprattutto perché scelte tecniche discutibili hanno accantonato gli uomini che avrebbero dovuto innescare il ragazzino di Copenaghen. Infatti, Antony e Rashford sono stati epurati, Garnacho è stato messo ai margini, Amad Diallo si è infortunato. Wayne Rooney, uno che sa cosa vuol dire essere il punto di riferimento avanzato dello United, attribuisce responsabilità a destra e sinistra. “Negli scorsi mesi il gioco del Manchester United era troppo lento, nessuno aiutava Højlund che finiva per rimanere isolato davanti, ma anche lui non riusciva a tener palla per permettere ai suoi compagni di salire”, il responso dell’ex gloria del club di Old Trafford.
i numeri
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I numeri non mentono: comparando Højlund al più prolifico attaccante centrale della passata edizione della Premier – Alexander Isak – il confronto è impietoso. La media di conclusioni per partita schizza dallo 0.4 del promesso sposo milanista all’1.4 dello svedese, mentre la conversione tra tiri e reti è del 13% per Hojlund e del 23% per il suo avversario svedese.
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McTominay insegna
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La buona notizia per lo scandinavo e per i suoi futuri tifosi è che chiunque in tempi recenti abbia lasciato il Manchester United, è rinato altrove. Rashford ha rimesso la freccia all’Aston Villa e ora prova a bissare con i blaugrana; Antony è tornato a essere imprendibile da quando è sbarcato sulla sponda biancoverde di Siviglia; l’upgrade di McTominay da gregario a primadonna napoletana è sotto gli occhi di tutti. Nonostante le delusioni patite allo United, Højlund ha carattere quanto basta per cogliere la prossima opportunità.
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