Ritorna in sala dal 7 al 9 ottobre, restaurato in 4K, uno dei capolavori di Stanley Kubrick e del cinema tutto. E quale miglior modo per iniziare la Spooky Season se non andando al cinema per assistere ad uno degli horror più importanti di sempre?
Il percorso verso la follia
Shining è la distruzione del mito e la nascita della leggenda. Lo scomponimento delle parole sulle pagine, che diventano lettere, e che man mano svaniscono in tappeti frattali, in menti labirintiche, tra la neve e il freddo del panorama che circonda l’Overlook Hotel.
Quando Kubrick mette mano all’opera letteraria l’immaginazione del lettore s’infrange: l’orrore non è più nella sua mente, vive invece in quella del regista, che a sua volta porta lo spettatore nella mente di Jack Torrance, ed è lì che la follia prende forma. In Shining il mezzo cinematografico è il contenuto, quindi tutte le sensazioni che ne scaturiscono. Lo spettatore viene introdotto all’orrore fin dai titoli di testa, impressi su una ripresa dall’alto che percorre la strada che porta all’Overlook.
La natura è protagonista dell’immagine, simbolo di una quiete apparente; qui svolge un ruolo fondamentale la colonna sonora di Wendy Carlos (compositrice di musica elettronica) e Rachel Elkind (compositrice di musica classica), che preannuncia la minaccia incombente sulla famiglia Torrance. Un binomio musicale peculiare, pesante, minimale, che dà inizio a un’opera già terribilmente angosciante.
Shining, quando l’atmosfera inghiotte lo spettatore
In Shining Stanley Kubrick utilizza ogni elemento del mezzo cinematografico per comporre il film horror perfetto. Anche nella prima parte del film, quando tutto sembra tranquillo, si ha la sensazione che la malvagità aleggi sull’Overlook.
Oltre alla già citata colonna sonora, fondamentali sono l’aspetto e la recitazione dei tre protagonisti; a questo proposito fu tanto criticata da Stephen King (autore letterario di Shining) la scelta di un Jack Torrance già apparentemente fuori di senno, personaggio che invece nel romanzo subisce un cambiamento più radicale (ma graduale) nel corso della storia.
Kubrick piuttosto, grazie alle straripanti espressioni facciali di Jack Nicholson, costruisce un personaggio che si trova costantemente in bilico tra la sanità mentale e la follia, fin dall’inizio, già inquietante nonostante non ci siano dei veri presupposti per aver paura di lui. Sorrisi incontrollati, sguardi squilibrati, piccoli atteggiamenti insofferenti. In questo caso è come se l’Overlook desse soltanto una piccola, ulteriore, definitiva spinta a un personaggio già sull’orlo della follia.
Recitazione graduale ed evoluzione del personaggio perfettamente eseguita è invece quella di Shelley Duvall. Il suo volto è la potenza del cinema, dell’espressionismo e delle emozioni che può trasmettere il genere horror. Il terrore dell’intero film viene trasmesso attraverso lei, attraverso le sue urla e la sua disperazione, in un ruolo tristemente sofferto che l’ha resa una scream queen leggendaria.
Ad enfatizzare l’atmosfera lugubre ci pensano la fotografia di John Alcott e il montaggio di Ray Lovejoy e Gordon Stainforth. Quadri perfetti, simmetrici, larghi eppure opprimenti, spezzati da dissolvenze, in scene inizialmente eleganti, poi caratterizzate da un montaggio serrato e incontrollato.
Le scenografie di Roy Walker e Leslie Tomkins sono glaciali e desolanti. Più volte nel corso del film queste cambiano da un frame all’altro, come se l’Overlook si stesse muovendo attorno ai personaggi: quando Dick mostra per la prima volta la cella frigorifera a Wendy, entrano avendo sullo sfondo la cucina, ma una volta usciti sullo sfondo vi è l’uscita di sicurezza (forse ad anticipare quel che sarebbe successo tra Jack e Wendy proprio nella stessa location). Certo, potrebbe essere un errore di montaggio o una disattenzione del regista, ma – conoscendo Kubrick – quanto è probabile che sia andata così?
Stanley Kubrick in Shining sfrutta quindi le scenografie con maestria per giocare con la mente dello spettatore, ipnotizzandolo per poi disorientarlo, inghiottendolo in un labirinto, e il regista come Jack Torrance, ad osservarlo dall’alto, con il pieno controllo su di lui.
Shining tra New Hollywood ed Elevated Horror
Il decennio 2010 può essere identificato come quello del ritorno del grande horror. Quando si parla di Elevated Horror si fa riferimento a quel movimento di film d’autore che eleva il genere (definito spesso di serie b) a qualcosa di più complesso, allontanandosi dai cliché, dalle saghe e dai jumpscare gratuiti. The VVitch, Suspiria, Get Out, Under the Skin, Midsommar – questi sono solo alcuni dei film che devono tanto a quell’horror nato subito dopo la New Hollywood e di cui Shining è tra massimi esponenti.
La New Hollywood fu un’esplosione di eccessi, lo scoperchiamento del vaso di Pandora che fino ad allora aveva limitato le opere di numerosi autori americani. Nel giro di dieci anni questi eccessi si affievolirono, calibrandosi su binari più specifici, in certi casi elevandosi su un piano trascendentale.
Nel 1977 esce Eraserhead di David Lynch, forse il primo elevated horror (quantomeno americano) di sempre. Tre anni dopo Kubrick prosegue questa strada con Shining. E probabilmente non è un caso che, durante le riprese, il regista facesse vedere al cast proprio il film di Lynch per introdurli all’inquietante atmosfera del suo film.
Poi Altered States, Possession, Videodrome – tutti elevated horror – film dove l’aggressività del decennio passato dei vari Michael Myers e Leatherface svanisce per far spazio ad atmosfere più angoscianti che spaventose, più ipnotizzanti che sanguinarie.
Difatti Shining trova la sua forza più nei suoi silenzi che nelle urla, più negli sguardi umani che nel paranormale. Fa rabbrividire per la sua freddezza narrativa, per la sua maniacale perfezione stilistica, non per quel che mostra ma per come lo mostra. Un’opera che gioca con il tempo e che è essa stessa senza tempo, fuori dalla logica, in un loop incerto tra fantasmi e follia. Il film di Stanley Kubrick torna al cinema, quarantaquattro anni dopo la prima volta, e non è invecchiato di un giorno.
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