Inter e Sinner dimostrano che per vincere serve gestire il gruppo

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Lo spogliatoio nerazzurro e lo staff di Jannik si sfaldano dopo una sconfitta: dietro ci sono equilibri sottili

Arianna Ravelli

Giornalista

Per “dinamiche di gruppo” si intendono “i modi in cui le persone interagiscono, comunicano e si comportano all’interno di un gruppo, influenzando il suo funzionamento e la sua efficacia. Queste dinamiche sono fondamentali per la coesione, la produttività e il raggiungimento degli obiettivi. Comprendere le dinamiche di gruppo, positive o negative, è essenziale per creare ambienti di lavoro collaborativi e positivi”. Quanto sia difficile tenere assieme un gruppo, farlo remare dalla stessa parte, trovare il famoso amalgama, gestirne la leadership, quanto siano sottili gli equilibri per far convivere personalità diverse (quasi sempre egoriferite, sempre sotto stress e guidate da ossessioni, come sono quelle degli sportivi di alto livello che rincorrono degli obiettivi), lo dimostrano due gruppi molto speciali che si sono sfaldati di fronte a noi dopo l’onda d’urto di un crash: lo spogliatoio dell’Inter e il clan Sinner.

regole basiche

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Lasciamo un momento perdere le ovvie differenze (il gruppo più o meno paritario di una squadra di calcio e quello composto da un campione e dallo staff che gli ruota attorno), la prima considerazione è che lo sport è comandato da regole basiche, binarie, come i linguaggi dei computer, 0-1, vittoria-sconfitta, e che il maggior collante di questo tipo di gruppi sono i risultati: le divisioni nell’Inter deflagrano dopo il finale di stagione senza successi, e la convivenza nel maso chiuso di Sinner finisce per saltare dopo la finale persa al Roland Garros. Quello che era sopportabile prima, che si era disposti a tollerare, diventa un ostacolo insormontabile. Basta poco. Un’esposizione mediatica in più, un particolare innocente rivelato all’esterno (Panichi?), qualche eccesso di protagonismo, una certa indulgenza verso le distrazioni, magari di mercato (Calhanoglu), una forza di volontà non più ferrea (Thuram?) o, al contrario, certe rigidità che appaiono inutili, diventano motivi sufficienti per far saltare l’equilibrio. Uniti alla legge universale che quando le cose vanno male bisogna cercare qualcuno a cui dare la colpa. Umano, troppo umano.

spogliatoi

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Gli spogliatoi poi (a dispetto dell’estremo professionismo dello sport) hanno regole quasi tribali: un flirt con un’altra squadra, magari corredato dal post sbagliato, è più che sufficiente per parlare di tradimento del gruppo, che si nutre da sempre della logica “noi contro il resto del mondo”. Ci sono molti modi di essere leader di gruppi del genere. Capitan Lautaro ha deciso di togliere la polvere da sotto il tappeto, Jannik Sinner di procedere con un altro giro di epurazioni. José Mourinho, di fronte a uno spogliatoio che l’attuale allenatore dell’Inter Cristian Chivu conosce molto bene, se ne uscì con una frase destinata a diventare epica (e a essere usata da tutti gli avversari dell’Inter come sfottò): “Uno scudetto lo avete vinto in segreteria, uno contro nessuno, un altro all’ultimo minuto…”. Mou aveva la credibilità per esprimersi così e in quel modo riuscì a scuotere il gruppo fino a portarlo al Triplete. Un altro avrebbe fatto saltare tutto. Chivu, che riunisce la squadra e pretende un immediato faccia a faccia chiarificatore, non può non aver imparato qualcosa da quel modo di essere leader, che appare già dai primi passi molto diverso (anche nel linguaggio) da quello di Simone Inzaghi, che era una specie di fratello maggiore dei giocatori. Non c’è una via sola, ovvio. L’importante è percorrerla con coerenza tra quanto si dice, o si chiede agli altri, e quanto si fa (e di sicuro formare un gruppo, capirne la psicologia e governarne le dinamiche conta quanto studiare tattiche e avversari).



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