Renato prima di Inter-Fluminense: la conferenza e il passato a Roma

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L’ex giocatore della Roma, oggi tecnico del Fluminense: “Per preparare la partita ho saltato la cena con mia figlia. A Roma non andò bene, ma col senno di poi sarei rimasto. Il rischio fulmini? La natura non la controlliamo noi”

Dal nostro inviato Filippo Conticello

Renato Portaluppi, semplicemente Renato Gaucho in patria, è memoria delle notti romane anni Ottanta: nella Capitale, mai rimpianto in giallorosso, lo ricordano più per quello che per i gol, e il soprannome “pube de oro” non nasce certo per caso. Adesso Renato nel suo Brasile è diventato una specie di santone della panchina, e dopo aver vinto la Libertadores col Gremio, da qualche mese è tornato tecnico di un Fluminense, battagliero ed esperto, che aspetta al varco l’Inter.

stile

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Lo stile sfacciato è rimasto lo stesso di quand’era ragazzo, basta una conferenza di vigilia passata a dire frasi a effetto per accorgersene: “Sappiamo quanto siano forti gli europei, ma questo è solo sulla carta… Molti dicono che sono loro i favoriti, ma in campo poi può succedere qualcosa di diverso…”, ha ammiccato a giornalisti italiani e brasiliani nella sala conferenza del Bank of America Stadium, la casa del Charlotte Fc e dei Carolina Panthers della Nfl. “L’atteggiamento è fondamentale in una partita così importante. Ma il fatto che una squadra come l’Inter sia favorita dipende soprattutto da ragioni economiche: se vai al mercato con 1000 reais, puoi comprare quello che vuoi, se vai con 100 hai meno scelta. È un po’ quello che succede nel calcio, l’Europa ha 1000 reais, noi 100… Ma tutto dipenderà dalla testa dei giocatori…”. E poi, dentro alla sfida ai nerazzurri che gli ha pure “rovinato” il giorno di riposo: “Conosciamo la qualità dell’Inter e non possiamo negarle: li abbiamo studiati bene per neutralizzarli tatticamente e siamo pronti. Pensate che per analizzare questa partita sono rimasto in hotel e mia figlia Carolina mi ha rimproverato perché non sono uscito a cena con lei…”.

la sfida

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Renato ha recuperato l’attaccante Soltedo, disponibile dopo infortunio, e il suo totem Thiago Silva, pronto a riprendere il posto nel cuore della difesa: “Thiago è un giocatore chiave nel mio schema. È un leader, il capitano della squadra, praticamente un allenatore in campo. È una guardia di sicurezza per noi là dietro”. In generale, ha voluto mettere in chiaro che il suo Flu non cambierà, resterà fedele a uno stile brasiliano ma pratico, nonostante il lignaggio del rivale: “Ci alleniamo sempre a ripartire con la palla da dietro, parlo molto con la difesa proprio di questo aspetto. Mi piace il possesso palla e mi piace continuare a giocare. Ma voglio essere molto chiaro: se sei sotto pressione, non ha senso giocare troppo ‘bonito’ perché se perdi palla, è finita. La mia filosofia è nessun rischio e massima concentrazione: se segnano, deve essere per merito loro, non per nostri errori”. Da lì è arrivato l’esempio immaginifico, giusto per colpire l’interlocutore: “Molti dei miei giocatori sono padri di famiglia – ha continuato il tecnico brasiliano -. Così chiedo loro: ‘Voi camminate per il centro commerciale con vostro figlio di un anno e mezzo e gli voltate le spalle?’. Nessuno lo fa… È la stessa identica cosa in una partita di calcio. Se non siete concentrati, succederà qualcosa di brutto”. A sentirlo, il rischio tempesta di fulmini, che ha portato alla sospensione di Benfica-Chelsea, spaventa più Chivu che lui: “La natura è natura, non posso combatterla. E queste sono le regole. In Brasile giochiamo sotto la pioggia, sotto i fulmini, sotto tutto. Qui, se un fulmine cade a 10 km di distanza, ci si ferma… Ma, se la partita si interrompe, la cosa più importante è restare sul pezzo”.

amarcord

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Alla fine, non poteva mancare l’amarcord. Il 62enne allenatore brasiliano ha così parlato del suo passato alla Roma condendo tutto con qualche rimpianto: “In giallorosso non è andata molto bene. Avevo un contratto triennale e il primo anno ho avuto molti infortuni. Il mio presidente era Dino Viola e diceva che era sempre così con i giocatori stranieri: serviva tempo per adattarsi. Ma poi mi ha cercato il Flamengo e sono tornato in Brasile perché non ero felice, volevo giocare. Oggi, con la mia esperienza, probabilmente non sarei tornato indietro perché avevo solo bisogno di tempo: era un altro calcio, un’altra cultura, una nuova lingua”.



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