Milan e Inter, strategie opposte sul mercato. Il commento di Ravelli sulla Gazzetta

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I due club cambiano linea, e chissà che all’incrocio dei due percorsi non trovino la ricetta vincente

Arianna Ravelli

Giornalista

In biologia la muta è un “cambiamento che di solito si risolve in una funzionale sostituzione o in un rinnovamento periodico”. Cambiare pelle si può, a volte si deve: per adattarsi meglio a condizioni ambientali cambiate, perché è l’unico modo per sopravvivere, o evitare il declino. Inter e Milan sono due creature alle prese con una (simmetrica) mutazione genetica, una trasformazione profonda che va ben oltre i nomi in uscita o in entrata dalle porte girevoli del mercato. E che potrebbe arrivare a cambiare qualcosa di più complesso come l’identità. Un po’ per scelta e un po’ per necessità, la squadra più vecchia del campionato scorso e quella che (ormai tre anni fa), ha vinto lo scudetto con la rosa più giovane hanno intrapreso un percorso ciascuna verso la direzione opposta. 

chivu contro allegri

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I due allenatori in panchina (Cristian Chivu e Massimiliano Allegri) in questo senso valgono più di un manifesto programmatico. Ma è interessante ricordare come si è arrivati fin qui: l’Inter, che a partire dai tempi di Conte ha optato per l’instant team (mettendo a dura prova i conti) si è trovata ad accelerare il processo dopo la fragorosa caduta della finale di Champions e il traumatico addio a Inzaghi con i suoi schemi poco flessibili (giovani q.b., quanto basta, come il sale nelle ricette di cucina, da inserire gradualmente, vedi gli utilizzi di Asllani e Frattesi). Sarà stata anche colta impreparata al momento di decidere il nuovo allenatore, ma adesso si capisce come la scelta di Chivu abbia perfettamente senso: se la volontà della proprietà Oaktree e della dirigenza è svecchiare, lanciare i giovani e, perché no?, riscuotere in futuro anche qualche plusvalenza, quale allenatore migliore di quello che ha guidato la Primavera? Pio Esposito e Valentin Carboni sono figli suoi, Bonny lo ha allenato al Parma, e Sucic che si mette in mostra al Mondiale per club nelle stesse ore in cui il Calhanoglu acciaccato torna a casa è l’immagine simbolo della metamorfosi in corso. La scelta di lanciarsi nel progetto Under 23 completa il quadro.

milan, scelte e debolezze

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Il Milan ha preso la strada opposta; per anni, Elliott e RedBird (non a caso fondi di investimento come Oaktree) hanno imposto una linea aziendale chiara: monte stipendi da tenere sotto controllo, predilezione per giocatori non ancora affermati da valorizzare. È vero che così ha vinto uno scudetto (strappato proprio all’Inter) ma è anche vero che l’ultimo campionato si è chiuso a 19 punti dal Napoli capolista. Non che il problema del Milan sia stata la giovane età degli ultimi acquisti (il talento non ha mai avuto bisogno di esibire la carta d’identità per mostrarsi), quanto una serie di scelte sbagliate unite alle debolezze societarie, in parte corrette con l’arrivo di un ds come Igli Tare. Ma adesso c’è bisogno di ricostruire dalle macerie, e se ti chiami Milan c’è bisogno di farlo in fretta. L’obiettivo principale è assicurarsi il minimo garantito dell’ingresso in Champions: ecco quindi che anche la proprietà accoglie il cambio di linea, senza però derogare all’attenzione ai conti (da qui l’uscita di Reijnders). La scelta di Allegri dice tutto: non è un allenatore da inizio ciclo, è uno da qui e ora, ha detto sì al 40enne Modric, gli piace il rodato Xhaka, guarda con sospetto profili meno strutturati, che in carriera ha sempre usato con parsimonia. Non c’è una via giusta, naturalmente, e in fondo la stessa vecchia Inter ha sì perso dalle nuove leve del Psg ma ha battuto i genietti del Barcellona. Ce n’è di sicuro una sbagliata: non cambiare mai idea e non reagire alle circostanze mutate (e chissà che all’incrocio dei due opposti percorsi le due milanesi non si trovino a metà strada in quel mix tra giocatori di esperienza e giovani che da sempre è la ricetta per vincere).



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