Puntare su un playmaker attempato e rinunciare a un giovane pieno di energia è comprensibile solo in un contesto italiano, fondamentalmente nemico dei giovani talenti
Per il Milan l’operazione Modric, a quasi 40 anni, che respiro futuro può avere? La domanda è assolutamente legittima. Il genio croato è un fenomeno anche dal punto di vista organico-atletico, d’accordo, ma gioca anche in uno dei ruoli più dispendiosi, regista a tutto campo. Aggiungerei a questa mossa la cessione, sia pure temporanea, di Francesco Camarda, 17 anni, di cui si raccontano meraviglie da almeno un paio di stagioni. Ha la stessa età di Lamine Yamal, ma lui ha bisogno di “farsi le ossa” a Lecce, in periferia, come si diceva e faceva negli Anni 60 del secolo scorso. Curioso: eppure è stato molto spesso aggregato alla prima squadra e ha fatto già diverse apparizioni in campo, sia pure marginali. Evidentemente il “gioiello” non è così prezioso oppure c’è una gran paura di tenerlo in rosa fra i due-tre attaccanti che ruoteranno. Per una squadra che mostra da anni un’incapacità di portare il pressing e conseguentemente di attaccarlo, sembrerebbe indispensabile avere freschezza e capacità di corsa ripetuta a velocità massimale: puntare su un playmaker attempato e rinunciare a un giovane pieno di energia è comprensibile solo in un contesto italiano, fondamentalmente nemico dei giovani talenti, come ha denunciato Julio Velasco in una recente intervista.
lo scudetto di pioli
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Qualcuno s’infuria di fronte a questa opinione e la ritiene un luogo comune, ma credo che sbagli, anche in altri sport. Come ha vinto il Milan lo scudetto di Pioli? Presentando una delle squadre più giovani d’Europa, condotta da un Tonali ventunenne e da un Leao di 22 anni, attorniati da una banda di coetanei e qualche veterano. A quanto pare quel risultato storico non è bastato a indicare una via. Eppure si tratta del club che ha fatto esordire Donnarumma a 16 anni. Per non parlare, in un passato più profondo, dei precocissimi Baresi, Maldini, Van Basten, e perfino Rivera. Non è un discorso che si può confinare in ambito rossonero. L’Inter si è presentata alla sfortunata finale di Champions con una rosa dall’età media di oltre 29 anni, una delle più alte d’Europa, ed è stata forse non casualmente travolta da un Psg che, al contrario, era la più giovane, al di sotto dei 24.
usato sicuro
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In Italia, studi statistici alla mano, gli unici giovani che giocano davvero sono stranieri: per quanto riguarda i prodotti indigeni, siamo ultimi e staccati rispetto ai campionati maggiori. In particolare la Spagna ci ridicolizza da questo punto di vista, essendo decine di punti percentuali avanti sia nell’utilizzo dei giovani di casa sia, in modo inverso, in quello degli stranieri. Inverosimile che il nostro esercito di tesserati (ben oltre il milione) abbia smesso di colpo di produrre Baggio, Zola, Del Piero, Toni, Inzaghi, Totti, e molti eccetera. Anche le scelte dei tecnici, a casa nostra, si orientano con maggiore frequenza sull’usato sicuro e strariciclato. Non c’è nessuna voglia di rischiare: e se il calcio è diventato davvero un’impresa come tante altre, questa suona come una condanna. Perché chi non rischia in modo ragionevole è senza futuro.
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