Chinaglia, pugni a un tifoso azzurro. Serie A Noir

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Era l’8 giugno di 50 anni fa e dopo la sconfitta con l’Unione Sovietica, fuori dall’hotel della nazionale a Mosca, Chinaglia si accese dopo le provocazioni. Fu l’ultimo atto in azzurro

Mosca, sera dell’8 giugno 1975. La partita, amichevole contro l’Unione Sovietica, è finita male, l’Italia ha perso 1-0. Gli azzurri sono apparsi spenti, balbuziente il gioco, velleitarie le intenzioni. Il rientro in pullman dallo stadio Lenin all’hotel dove la comitiva ha fissato il ritiro, con un’impennata di fantasia si chiama “Hotel Russia”, è cupo, segnato da silenzi gravidi di veleno. L’atmosfera è tesa. All’ingresso dell’albergo sostano una ventina di tifosi azzurri. Sono al seguito della nazionale, poco prima erano allo stadio. Quando passa Giorgio Chinaglia – borsone in spalla, capelli arruffati, incedere da bisonte – un tifoso urla: “Cammellone!”, poi lo ricopre di altri svariati insulti. Chinaglia tiene fede alla sua fama di fumantino – i giornali lo tacciano di essere il “giocatore più manesco e più insultato d’Italia” – e anziché tirare dritto, reagisce d’istinto, si avventa sul tifoso, lo afferra per il collo, poi lo colpisce con un calcione al basso ventre e, mentre l’altro barcolla, con un pugno in piena faccia. È una scena da film western, una di quelle scazzottate che si vedono nei film di quel periodo, con Bud Spencer e Terence Hill. 

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